amami come sei...

AMAMI COME SEI (Gesù parla a un’anima) “Conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima, le deficienze e le infermità del tuo corpo: - so la tua viltà, i tuoi peccati, e ti dico lo stesso: “Dammi il tuo cuore, amami come sei...”. Se aspetti di essere un angelo per abbandonarti all'amore, non amerai mai. Anche se sei vile nella pratica del dovere e della virtù, se ricadi spesso in quelle colpe che vorresti non commettere più, non ti permetto di non amarmi. Amami come sei. In ogni istante e in qualunque situazione tu sia, nel fervore o nell'aridità, nella fedeltà o nella infedeltà, amami... come sei.., Voglio l'amore del tuo povero cuore; se aspetti di essere perfetto, non mi amerai mai. Non potrei forse fare di ogni granello di sabbia un serafino radioso di purezza, di nobiltà e di amore ? non sono io l'Onnipotente ?. E se ml piace lasciare nel nulla quegli esseri meravigliosi e preferire il povero amore del tuo cuore, non sono io padrone del mio amore? Figlio mio, lascia che Ti ami, voglio il tuo cuore. Certo voglio col tempo trasformarti ma per ora ti amo come sei... e desidero che tu faccia lo stesso; io voglio vedere dai bassifondi della miseria salire l'amore. Amo in te anche la tua debolezza, amo l'amore dei poveri e dei miserabili; voglio che dai cenci salga continuamente un gran grido: “Gesù ti amo”. Voglio unicamente il canto del tuo cuore, non ho bisogno né della tua scienza, né del tuo talento. Una cosa sola m'importa, di vederti lavorare con amore. Non sono le tue virtù che desidero; se te ne dessi, sei così debole che alimenterebbero il tuo amor proprio; non ti preoccupare di questo. Avrei potuto destinarti a grandi cose; no, sarai il servo inutile; ti prenderò persino il poco che hai ... perché ti ho creato soltanto per l'amore. Oggi sto alla porta del tuo cuore come un mendicante, io il Re dei Re! Busso e aspetto; affrettati ad aprirmi. Non allegare la tua miseria; se tu conoscessi perfettamente la tua indigenza, morresti di dolore. Ciò che mi ferirebbe il cuore sarebbe di vederti dubitare di me e mancare di fiducia. Voglio che tu pensi a me ogni ora del giorno e della notte; voglio che tu faccia anche l’azione più insignificante solo per amore. Conto su di te per darmi gioia… Non ti preoccupare di non possedere virtù: ti darò le mie. Quando dovrai soffrire, ti darò la forza. Mi hai dato l’amore, ti darò di saper amare al di là di quanto puoi sognare… Ma ricordati… amami come sei… Ti ho dato mia Madre; fa passare, fa passare tutto dal suo Cuore così puro. Qualunque cosa accada, non aspettare di essere santo per abbandonarti all’amore, non mi ameresti mai… Va…”

venerdì 2 luglio 2010

"Sguardo sull'eternità"

"Sguardo sull'eternità"

Una realtà complessa

Abbiamo già parlato delle due realtà che rimarranno per sempre: l'inferno o perdizione eterna e il paradiso o beatitudine eterna. Questo sarà lo sbocco definitivo del dramma della vita e del dramma della libertà umana. Però, non abbiamo ancora esaurito la nostra ricognizione sull'aldilà: dobbiamo ancora parlare del purgatorio, una realtà escatologica che dura soltanto fino alla fine del mondo e al giudizio universale. Dopo ci sarà soltanto o la gioia eterna o l'odio eterno come possibile esito delle scelte operate dalla nostra libertà. La riflessione sul purgatorio riveste un grande valore, proponendo dei problemi oggettivamente interessanti da risolvere: la sua esistenza, le radici bibliche di questa dottrina, la presa di coscienza e l'approfondimento di questa verità da parte della Chiesa, sulla scia soprattutto della pietà dei fedeli; la natura stessa delle pene del purgatorio. Il più importante di questi problemi, forse quello che ci tocca più da vicino, è quello del rapporto che ci può essere e che intercorre fra le anime del purgatorio e noi. Ma, al di là di questi problemi, il purgatorio ci tocca da vicino proprio perché la parola stessa purgatorio (da purgare, da purificazione) ci evoca molto da vicino il cammino di santità, cioè il cammino della nostra personale purificazione. Si può dire che c'è una stretta connessione fra l'intensità del nostro cammino di santità e la possibilità per noi del purgatorio.

Dottrina cattolica e dottrina protestante a confronto sul tema del purgatorio

Cerchiamo però per prima cosa di entrare nella problematica del purgatorio che, benché sia appena accennata dalla Bibbia, è una realtà molto viva nella coscienza dei fedeli. E quando parlo di fedeli parlo innanzitutto della fede cattolica che su questo punto ha rappresentato nei secoli una straordinaria continuità. Lo stesso si può anche dire per la Chiesa ortodossa, benché oggi ci siano dei teologi ortodossi che mettono in dubbio o l'esistenza o la natura del purgatorio. Tuttavia, nell'insieme, la Chiesa ortodossa concorda con la Chiesa cattolica nell'indicarne l'esistenza e nel definirne l'obiettivo che è quello di completare la purificazione non ancora compiuta in questa vita. Una negazione consistente, radicale, sempre più decisa nei confronti del purgatorio è venuta, invece, dalla Chiesa protestante a partire da Lutero. Indubbiamente, in questa negazione del purgatorio da parte dei protestanti, entrano in gioco alcuni principi fondamentali della riforma protestante, e in primo luogo il primato della Bibbia: come è noto, non viene incluso nel canone protestante il Libro dei Maccabei, che è il libro in cui si parla esplicitamente del purgatorio. L’esistenza stessa del purgatorio contraddice la concezione luterana della giustificazione del peccatore. Infatti, secondo Lutero, l'uomo, sia pure con l'aiuto della grazia, non può pervenire a uno stato di giustizia che sia una purificazione e una nuova creazione interiore: lo stato di giustificazione (e cioè lo stato di santità) ci viene imputato dall'esterno, da Dio, ma non viene conseguito nel cuore umano. La giustificazione secondo Lutero è un rivestimento esterno da parte di Cristo, non è un processo di spiritualizzazione e di santificazione interiore: una volta che Cristo ha perdonato al peccatore e che gli ha imputato la sua giustizia, cioè quella giustizia che Cristo ci ha ottenuto in croce, quel peccatore è santo agli occhi di Dio anche se è nel medesimo tempo peccatore nel suo cuore: cioè anche se nel medesimo tempo ha ancora in sé le radici del peccato. Se nel momento della morte il Padre vede il peccatore in Cristo, rivestito della giustizia di Cristo, secondo Lutero non c'è bisogno del purgatorio. Invece, secondo il concetto di giustificazione elaborato dal Concilio di Trento (ecumenico XIX, 1545-1563), concetto che è sempre stato un dato fondamentale della Chiesa, il processo di giustificazione si identifica in un certo senso col processo di purificazione del cuore. Il cuore si libera prima dal peccato mortale e poi dai peccati veniali, quindi da quelle radici del male che vengono chiamate dai teologi con il termine concupiscenza, con cui si intende la spinta al male e all'egoismo che rimane in noi anche dopo il battesimo. Il processo di purificazione e di giustificazione, secondo l'angolatura cattolica, è un processo di bonifica interiore: comporta veramente di morire all'uomo vecchio e di far crescere in noi l'uomo nuovo, l'uomo nello Spirito Santo, l'uomo che non vive più secondo la carne, ma secondo lo spirito. Il culmine del processo di giustificazione è la capacità di amare Dio sopra ogni cosa. Secondo la teologia cattolica, chi non porta a termine questo processo di purificazione e di restaurazione, per così dire, dell'immagine di Dio nel proprio cuore durante l'esistenza terrena, arrivando pertanto al momento della morte con una debole capacità di amare, proprio perché è chiamato nella visione beatifica ad amare Dio con un atto di amore perfetto, ha bisogno di completare il processo di purificazione. Quindi, ciò che divide i cattolici dai protestanti, per quanto riguarda l'esistenza del purgatorio, non è soltanto il fatto che la Chiesa, rispetto ai dati biblici, privilegi quella che è stata fin dalle sue origini la tradizione del culto dei morti e della preghiera per i morti; il pomo della discordia è proprio il concetto stesso di purificazione. Secondo i protestanti, non esiste una purificazione come processo interiore, ma esiste una imputazione della giustizia di Cristo al peccatore per cui egli, pur rimanendo peccatore con la sua spinta al male, è, tuttavia, perdonato da Dio e, quindi, accolto in paradiso subito dopo la morte, se questa giustizia gli è imputata dal Padre in Cristo. Invece per la Chiesa cattolica questa giustizia deve tradursi in una ricostituzione dell'immagine di Dio nel cuore umano.

La dottrina della Chiesa sul purgatorio

La prima impegnativa problematica rispetto al purgatorio è proprio quella che divide i fratelli protestanti da noi e dai fratelli ortodossi. Ma oltre a questa ce n e una ancora più vasta - e anche questa tocca punti importantissimi e della teologia e della vita spirituale - che riguarda la natura stessa del purgatorio, in che cosa esso consista veramente e quale sia il nostro rapporto con i defunti. Nella nostra meditazione, che, pur essendo sintetica, deve toccare tutti i punti fondamentali di questa verità, cercheremo innanzitutto di mettere ben in chiaro qual è l'insegnamento della Chiesa: per noi la Chiesa è l'autorità divina, dal momento che Cristo le ha dato questa autorità e che è assistita dallo Spirito Santo nell'interpretazione della Sacra Scrittura. Questo insegnamento ha radici nel testo biblico e ha radici nella tradizione. Successivamente cercheremo di capire, attraverso la riflessione teologica, in che cosa consista il purgatorio. Infine, prendendo in considerazione la pietà dei fedeli, indagheremo quali siano i nostri rapporti con le anime purganti: tematica ricchissima, molto cara al cuore cristiano; tematica che può sicuramente offrire consolazione a molte persone per i drammi di separazione dai propri cari; anche perché, io penso, molte persone, attraverso questi distacchi gravi e drammatici, possono riacquistare serenità, scoprendo un nuovo e più profondo rapporto con i propri cari e forse consolidando la loro fede nell'aldilà. Addentrandoci dunque più decisamente, nel nostro tema, cerchiamo per prima cosa di dare una definizione del purgatorio. Che cos'è il purgatorio? È difficile discutere ancora, come abbiamo fatto per il paradiso e per l'inferno, se il purgatorio sia un luogo o soltanto uno stato. Per quanto riguarda il paradiso e l'inferno non c'è dubbio che debbano per forza essere luoghi perché nell'inferno, come pure in paradiso, ci saranno anche i corpi alla fine del mondo. Nel purgatorio invece sappiamo che ci sono soltanto le anime perché il purgatorio terminerà proprio alla fine del mondo, quando i corpi risorgeranno. Perciò, tralasciando questo problema, cerchiamo di dare una definizione che raccolga l'insieme della riflessione teologica e soprattutto le indicazioni del magistero della Chiesa. In questo modo si potrebbe definire il purgatorio come lo stato di coloro che sono morti nella pace di Cristo, ma non sono ancora così puri da poter essere ammessi alla visione di Dio.



Perché esiste il purgatorio?

Come vedremo, troviamo affermato con decisione questo stato dall'insegnamento della Chiesa addirittura a livello conciliare e lo troviamo espresso chiaramente almeno in un testo biblico. Tuttavia mi pare opportuno riflettere sul fatto che il purgatorio in fondo ha una sua ragione profonda di esistere, un suo perché molto accessibile alla riflessione di tutti. Infatti qual è il destino che ci attende se saremo stati fedeli alla parola di Dio? Abbiamo detto che il purgatorio è lo stato di coloro che sono morti nella pace di Cristo, quindi è già uno stato di salvezza in cui sono presenti la preghiera e l'amore, anche se non è presente la visione di Dio. Ebbene, al di là di quello che può insegnare il magistero della Chiesa e che può dirci in termini molto espliciti il Libro dei Maccabei, c'è una ragione molto profonda che giustifica l'esistenza del purgatorio, che è anche la medesima per cui la sua stessa nozione non è affatto difficile da accettare da parte dei fedeli: in termini molto semplici, il purgatorio esiste perché esiste la tendenza dell'uomo alla mediocrità e alla tiepidezza; perché l'uomo in questa vita forse non è capace, almeno in generale, di esprimere atti di amore così perfetti da abilitare la sua anima a entrare subito nella visione di Dio. A questo riguardo vorrei leggere un'altra pagina molto incisiva di mons. Maggiolini: "Sarebbe bello (...) che la libertà umana fosse capace soltanto o del positivo o del negativo in sommo grado, senza riserve e senza resistenze: conversioni soltanto senza riserve e in modo radicale, oppure dei voltafaccia a Dio compiuti senza misure, senza diplomazia". Ebbene tuffo questo, invece, come sappiamo, non avviene. Ed escludiamo pure le ribellioni compiute a metà, stiracchiate nel tempo, nemmeno decise, ma quasi notarilmente registrate nel lasciarci condurre dalla tendenza ad abbarbicarci alle cose, a legarci alle persone o a fissarci in noi stessi, senza nemmeno affrontare il disagio di un no secco rivolto a Dio; il riempire il cuore di altro e il constatare che Dio non ci sta più, è uscito dall'orizzonte dell'attenzione e della direzione. Il teologo cioè dice che anche quando ci ribelliamo a Dio, in fondo non riusciamo mai ad esprimere a Dio un no radicale e totale. E continua: "Sarebbe come prepararci alla disperazione senza nemmeno un atto che può avere un suo perverso eroismo, titanico o prometeico. Sarebbe come uno scoprire di essere nel fondo della colpa, ma essendovi giunti a piccoli passi su un piano inclinato, quasi insensibilmente, per distrazione, e l'inferno sarebbe raggiunto da dilettanti, nemmeno da professionisti della colpa". In fondo, le persone perverse sono piuttosto rare. "No, il caso è diverso. E il caso di chi si è consegnato a Dio, ma mantenendosi qualche angolo d'anima per sé, senza tirare tutte le conseguenze di una revisione di vita, senza impegnare tutta la volontà nel rispondere alla chiamata di grazia, concedendosi ancora, in parte, alle propensioni cattive. Un rinnovarsi, ma non lasciando che Dio chieda tutto; un liberarsi dal male, ma desiderandolo ancora un poco, con qualche nostalgia della fuga da casa, della dissipazione e delle carrube dei porci. Un decidersi per Dio, ma quasi chiedendo a Dio che non ci prenda sulla parola interamente. Uno scegliere la luce, ma col persistere di un morboso fascino del chiaroscuro Giustamente questo teologo osserva che noi non siamo totalmente perversi nel male, ma nemmeno siamo radicali nel bene. Anzi, nel bene molte volte siamo tiepidi. "La fede chiama queste nostre piccole vigliaccherie nel bene, peccati veniali, cioè mancanza di vigore della carità, cioè non prontezza risoluta a staccarci dal fascino del tenebroso. Cioè consegna del cuore a Dio, ma tenendo ben stretto qualche sentimento, qualche compensazione che intristisce, lasciandoci prendere quasi dalla paura di fronte all'esultanza di Dio che dilaga. Cioè il dare tutto, tranne qualche cosa; il salire sulla croce, ma con una mano sola e un piede solo". Bellissima questa immagine della nostra resistenza nel concederci a Dio! "Si sta più scomodi e si tira più a lungo, ma appunto si ritrae l'altra mano e l'altro piede, perché i chiodi non vi si conficchino e ne risulti un'immagine del Signore parziale, un po' sconcia e un po' grottesca". Ecco, in questa pagina forse un po' difficile nell'espressione, ma molto limpida nel concetto, è spiegata la ragione stessa per cui esiste il purgatorio: il fatto che la maggioranza delle persone sono incerte sia sulla via del male, in cui non sono così radicali da raggiungere l'impenitenza, sia sulla via del bene, in cui parimenti non sono così radicali da raggiungere il perfetto amore. E questo è lo stato nel quale esse muoiono. La ragione per cui esiste il purgatorio è la mediocrità, è che molti non sono né caldi né freddi, sono tiepidi, non hanno detto né no, né sì a Dio, gli hanno detto ni. Per questo non possono partecipare direttamente alla visione di Dio, alla natura divina: sono ancora pieni di zavorra, devono completare lo stato di purificazione.



Le dichiarazioni del magistero

Tuttavia noi crediamo al purgatorio sulla parola della Chiesa che, con autorità divina, ce ne ha indicato più volte l'esistenza. I testi più autorevoli in questo campo sono naturalmente i testi dei Concili, ed in primo luogo il Concilio di Firenze, cui tra l'altro parteciparono anche i rappresentanti delle Chiese d'oriente. Esso definì in modo autorevole (quindi è una verità de fide definita) l'esistenza del purgatorio: "Inoltre, se avendo fatto veramente penitenza, moriranno nella carità di Dio, prima di aver soddisfatto con frutti degni di penitenza per i peccati di commissione e di omissione, le loro anime dopo la morte sono purificate con pene purgatorie, e per essere liberate da queste pene giovano loro i suffragi dei fedeli viventi: cioè il Sacrificio della Messa, le preghiere, le elemosine e le altre pratiche di pietà che si usano fare, secondo le istituzioni della Chiesa, da parte di fedeli in favore di altri fedeli" (Denz. 693). Non solo dunque viene definito il purgatorio come lo stato di coloro che sono morti senza aver soddisfatto con frutti di degna penitenza i loro peccati, ma è anche indicato il modo con cui noi possiamo aiutare queste anime. Anche il Concilio di Trento (ecumenico XIX, 1545-1563) sviluppò a lungo e trattò in diversi decreti la tematica del purgatorio, soprattutto precisando il concetto cattolico di giustificazione del peccatore. Fra i tanti decreti si legge: "Poiché la Chiesa cattolica, istruita dallo Spirito Santo attraverso la Sacra Scrittura e dall'antica tradizione dei Padri, ha insegnato nei sacri Concili e recentissimamente in questo Sinodo ecumenico che vi è il purgatorio e che le anime in esso trattenute sono aiutate dai suffragi dei fedeli, ma principalmente dal Sacrificio dell'altare degno di essere accettato, il santo Sinodo ordina ai vescovi che procurino con ogni diligenza che la santa dottrina circa il purgatorio trasmessa dai santi Padri e dai sacri Concili sia creduta dai fedeli cristiani, conservata, insegnata e predicata dappertutto..." (Denz. 983; cfr. anche 940 e 950). Possiamo, quindi, concludere che la dottrina del purgatorio è una verità della fede cattolica definita nei Concili di Firenze e di Trento. Ma la rassegna non è ancora terminata, perché recentemente il magistero si è pronunciato sul purgatorio con due testi autorevolissimi: si tratta del Concilio Vaticano Il (che tra l'altro ha approfondito la riflessione proprio sulla natura del purgatorio) e della Professione di Fede di papa Paolo VI. Il Concilio Vaticano Il (ecumenico XXI, 1962- 1965), descrivendo nella Costituzione Dogmatica Lumen gentium (7, 49) la realtà ecclesiale in tutta la sua ampiezza, parla del purgatorio come di uno dei tre stati ecclesiali: la Chiesa del cielo, la Chiesa che si purifica, la Chiesa della terra. "Alcuni dei suoi discepoli (di Cristo) sono pellegrini sulla terra. Altri, passati da questa vita, stanno purificandosi, e altri godono della gloria". Inoltre il testo (ibid., 50) ricorda la pratica della Chiesa, che risale ai primissimi tempi, "di pregare per i fedeli defunti", citando le parole del secondo libro dei Maccabei (12, 46). Infine, richiama le affermazioni del Concilio di Firenze e del Concilio di Trento che abbiamo ricordato sopra (ibid., 51). Si tratta, perciò, di una dottrina ribadita recentemente, e non solo qui: essa è richiamata anche nella Professione di fede o Credo del popolo di Dio, un testo bellissimo di Paolo VI del 1968: "Noi crediamo che le anime di tutti coloro che muoiono nella grazia di Cristo, sia che debbano ancora essere purificate nel purgatorio, sia che dal momento in cui lasciano il proprio corpo siano accolte da Gesù in paradiso come Egli fece per il buon ladrone, costituiscono il popolo di Dio nell'aldilà della morte, la quale sarà definitivamente sconfitta nel giorno della resurrezione quando queste anime saranno riunite ai propri corpi".



I riferimenti biblici della dottrina

Questa dottrina della Chiesa, che codifica una realtà viva e cioè una fede viva nel popolo di Dio, non ha molti agganci biblici, benché non ne sia completamente priva. Il testo più famoso è il secondo libro dei Maccabei (cui fa riferimento, come abbiamo detto sopra, la Lumen gentium, 7, 50): l'autore afferma con chiarezza che "santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perché siano assolti dai peccati" (2Mac 12, 43): ne risulta che quella di pregare per i defunti perché siano assolti dai peccati era già una pratica conosciuta e lodata circa 200 anni prima di Cristo. Inoltre nella prima lettera ai Corinti (3, 12-15) Paolo, sia pure in un testo esegeticamente complesso, parla di una purificazione nell'aldilà "come attraverso il fuoco". Infine, per fare un accenno alla tradizione, oltre che ai fondamenti biblici di questa verità, la Chiesa cristiana, come dice appunto anche la Lumen gentium coltivò fin dai primi tempi una -grande pietà per la memoria dei defunti. La dottrina del purgatorio, così come ci è espressa nel magistero, non fa, dunque, che codificare un atteggiamento fondamentale del popolo di Dio (che non solo crede nel purgatorio, ma prega per le anime dei defunti) ed ha indiscutibilmente una sua radice biblica sia nel Libro dei Maccabei sia in san Paolo.



La natura del purgatorio

A questo punto vorrei approfondire il discorso della natura del purgatorio. Credo che a questo riguardo dobbiamo un po' sgombrare il campo di tutta quella ricostruzione delle pene purgatoriali che è avvenuta nei secoli passati, nei quali si concepiva il purgatorio come un luogo puramente penale, a metà tra il paradiso e l'inferno. Alcuni predicatori erano arrivati addirittura al punto di identificare le pene del purgatorio con quelle dell'inferno, con la sola differenza che le pene del purgatorio sono temporali, mentre quelle dell'inferno sono eterne. A questo riguardo occorre veramente rivedere una certa predicazione popolare che in questo senso si è distaccata dal genuino insegnamento della Chiesa. Il Concilio Vaticano Il ha detto su questo tema delle cose stupende. Facendo riferimento alle anime del purgatorio, esso parla di "fedeli in stato di purificazione" e di "discepoli di Cristo". D'altra parte, non dimentichiamo che anche la teologia classica ha parlato delle anime del purgatorio come di "Chiesa purgante". Tutto questo significa molto semplicemente che il purgatorio è il luogo della salvezza. Chi è in purgatorio è già salvo. È sbagliato concepire il purgatorio come qualcosa di mezzo fra paradiso e inferno, perché l'inferno è il luogo dell'eterna dannazione e di là non c'è uscita; nel purgatorio invece l'anima, già salva, già immersa nella misericordia di Dio e nel suo amore, si prepara alla visione di Dio. Questo è il primo concetto da mettere bene a fuoco. Perciò, c'è da esultare se sappiamo che un'anima è in purgatorio, luogo di salvezza: sappiamo che dopo questo periodo di purificazione, sarà membro del Corpo di Cristo in cielo.



"L'unico corpo mistico di Cristo"

Il Concilio Vaticano Il però, ha detto con chiarezza qualcosa di più: la Chiesa che si trova sulla terra, quella che si trova nel cielo e quella che si trova nel purgatorio costituiscono "l'unico Corpo Mistico di Cristo, sia pure nella diversità dei suoi stati e sia pure nel diverso dono dello Spirito Santo". Quindi, è importante sottolineare che le anime del purgatorio sono parte viva e integrante del Corpo Mistico di Cristo: il testo della Lumen gentium lo dice chiaramente; occorre assolutamente percepire come idea fondamentale che sia noi, pellegrini sulla terra, sia i nostri fratelli in cielo, sia le anime in purgatorio costituiamo, tutti insieme, il Corpo Mistico di cristo, benché con funzioni diverse, con un grado diverso per quanto riguarda la diversa collaborazione che ognuno di noi dà all’opera della redenzione. E’ importante vedere le anime del purgatorio inserite nel Corpo Mistico di Cristo e coglierne la specifica funzione, che è quella di venire purificate. Sono membra vive, non rami tagliati, però stanno portando a termine la loro purificazione per il cielo. Il purgatorio è sicuramente il luogo della salvezza, è il luogo dove è presente, come dice la Lumen gentium, la linfa viva del Corpo Mistico di Cristo che è appunto lo Spirito Santo.



Il fuoco dell'amore che purifica le anime

Non siamo affatto tenuti a ritenere che in purgatorio vi sia il fuoco, come invece siamo tenuti a ritenere per quanto riguarda l'inferno. Il magistero della Chiesa per quanto riguarda l'inferno parla chiaramente di pene del senso, e noi indichiamo queste pene del senso con la parola fuoco. Invece, nel purgatorio noi non siamo affatto tenuti a pensare che ci sia una pena del senso, e possiamo benissimo intendere il fuoco del purgatorio come il fuoco dell'amore di Dio che purifica le anime. Entrando più a fondo nel cuore di questa riflessione teologica, consideriamo ciò che ci ha detto il Concilio: anche le anime del purgatorio fanno parte del Corpo Mistico di Cristo. Anche nelle anime del purgatorio lavora e agisce lo spirito di Cristo che è lo Spirito Santo, lo spirito di amore; e il fuoco del purgatorio è proprio il fuoco d'amore dello Spirito Santo, che penetra nella profondità di queste anime, nelle loro radici, le purifica dal loro egoismo, le abilita ad amare, conducendole alla perfezione dell'amore. Quindi il purgatorio è la grande scuola dell'amore perfetto, il cui maestro è lo Spirito Santo che agisce direttamente sulle anime. Questo insegnamento ci viene soprattutto da una grande mistica, santa Caterina da Genova, ma è diventato anche l'insegnamento di tanti teologi di oggi: il purgatorio come il luogo in cui il fuoco d'amore di Dio purifica le anime dall'egoismo e le rende abili ad amare. Luogo di sofferenza, perché non si può ancora vedere Dio faccia a faccia. Ma anche luogo di gioia: innanzitutto perché c'è già la certezza della beatitudine (mentre nell'inferno c'è la certezza della dannazione); poi, perché in un certo senso c e già la possibilità di comunicare con Dio mediante la preghiera; e infine perché già vi si può usufruire del grande mistero della comunione dei santi che dà alle anime del purgatorio la possibilità di pregare per i vivi e ai vivi quella di pregare per loro. A questo riguardo va puntualizzato, come abbiamo già visto nei testi, che le anime del purgatorio possono pregare per noi e sicuramente pregano per noi perché possiamo raggiungere il fine della vita che è la beatitudine eterna verso la quale esse sono incamminate. Ma anche noi possiamo pregare per loro ed aiutarle con la preghiera, i sacrifici, la penitenza, i suffragi e le indulgenze.



È possibile andare in paradiso senza passare per il purgatorio

Ora vorrei concludere dicendo che non siamo certo obbligati ad andare in purgatorio. Se già in questa terra ci purificheremo dall'egoismo e sapremo costruire in noi stessi una perfetta capacità di amare, potremo giungere da questa terra in paradiso, senza passare per il purgatorio. Perché il buon ladrone non è passato per il purgatorio? Perché, nonostante la sua vita di peccato, sulla croce ha saputo esprimere un atto di perfetta fede e un atto di perfetta contrizione. La perfetta contrizione ci abilita ad entrare direttamente in cielo. Ma come arrivare alla perfetta contrizione, cioè al dispiacere di aver offeso Dio infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa, di non aver corrisposto al suo amore? Intuizione dell'amore infinito di Dio che noi vediamo soprattutto attraverso la croce (e che forse il buon ladrone ha compreso), il dispiacere di non avervi corrisposto, l'offerta a Dio del nostro pentimento e del desiderio di amarlo sopra ogni cosa: questa attività interiore così sublime che avviene per opera dello Spirito Santo, se ripetuta ogni giorno con tanti piccoli atti di amore, compie in noi la radicale purificazione del cuore, lo dilata sempre più verso un amore perfetto, così che già in questa vita, io credo, possiamo essere nella condizione di entrare subito in cielo. D'altra parte, le persone che accettano e soffrono la loro malattia per amore, che vivono la loro morte come atto di amore a Dio, che muoiono come Gesù in croce, nell'abbandono totale alla volontà di Dio, hanno dentro di sé le condizioni per cui Dio poi le accoglie direttamente nel suo regno, senza che passino per il purgatorio, perché il loro cuore è già abilitato ad amare, si è già purificato attraverso il dolore e la morte da tutte le scorie di egoismo. Dio, avendoli trovati come servi buoni e fedeli nel momento del giudizio, li fa entrare subito nella gioia del suo regno, dando loro il lumen gloriae, cioè la capacità di vedere Dio, e l'amor gloriae, la capacità di amare Dio, che si innestano sul cuore purificato. In questo modo, cari amici, attraverso una vita impegnata, attraverso il sacrificio della malattia, attraverso l'accettazione della morte, noi possiamo entrare subito nella gioia del Signore senza attraversare il momento di purificazione del purgatorio: che tuttavia rimane il luogo della salvezza, della preghiera e dell'amore in attesa della visione eterna di Dio. Dopo che abbiamo stabilito l'esistenza del purgatorio a partire dalla Sacra Scrittura, dalla dottrina della Chiesa e dalla tradizione cristiana, tuttavia non abbiamo esaurito questo argomento, che d'altra parte sta tanto a cuore alla pietà cristiana, e gli vogliamo dedicare una seconda riflessione, soprattutto per comprendere qual è la natura del purgatorio e quale tipo di purificazione le anime vi sperimentano. Ma in modo particolare in questo capitolo ci soffermeremo sulla dottrina di una santa, Caterina da Genova, autrice di alcune fra le pagine più acute e più elevate che siano mai state scritte sul tema. Intanto, riassumendo le considerazioni svolte nel capitolo precedente, vale la pena di ricordare che il purgatorio è il luogo della salvezza, dove Dio opera col suo amore, dove Dio è amato dalle anime, dove è lodato, celebrato, ringraziato. Quindi è una realtà sostanzialmente differente da quella dell'inferno. Casomai, dovremmo cercare di comprenderlo non a partire dall'inferno, come si è fatto qualche volta nel passato, ma a partire dal paradiso: senza dubbio la condizione umana nel purgatorio è molto più vicina a quella dei beati in cielo. Tuttavia, mentre il paradiso è il luogo dove c'è un perfetto rapporto di amore fra Dio e le sue creature, che hanno ormai realizzato la perfetta capacità di amare, il purgatorio invece è il luogo dove Dio, non ancora contemplato faccia a faccia, opera per purificare le anime, la cui capacità di amare è ancora imperfetta. Per questo il purgatorio è già luogo di salvezza, ma nel medesimo tempo è luogo di purificazione. Dopo aver ribadito questi punti, vorrei, non più ormai sulla scorta della teologia ufficiale e dell'insegnamento della Chiesa, ma sulla scorta dell'insegnamento di santa Caterina da Genova, cercare di comprendere qualcosa di più sul purgatorio, sulla natura delle sue pene e delle sue gioie, se pure ve ne sono. Bisogna riconoscere che l'insegnamento di questa santa, espresso in un piccolo trattato sul purgatorio tanti secoli fa, sta esercitando sulla riflessione contemporanea un sensibile influsso: oggi i libri di teologia e di spiritualità riguardanti questo tema ripropongono in larga misura le idee contenute nelle poche pagine (all'incirca venti) di santa Caterina: pagine di una tale profondità che, possiamo dire, successivamente non è stato scritto molto di più sull'argomento, neppure in trattazioni più estese.



Vita di santa Caterina da Genova

Forse i genovesi non sanno di avere in Caterina una delle più illustri esponenti della loro terra, sicuramente una delle sante più grandi e più profonde in senso assoluto. Ed è un vero peccato che le sue opere non siano pubblicate con quella assiduità che invece meriterebbero. Nata a Genova dalla nobile famiglia dei Fieschi nel 1447, Caterina già da piccola, a 12 anni, sviluppò nel suo cuore una forte attrattiva per la preghiera. Dicono i biografi che era bellissima e che per il carattere molto forte, virile, come la sua omonima Caterina da Siena, era incline ad una estrema rigidezza con sé, mentre era molto aperta e spinta da grande compassione nei confronti del prossimo. Perciò la sua vita fu di aspra penitenza, ma nel medesimo tempo di grande carità verso i sofferenti. A 13 anni sentì il primo invito e manifestò l'intenzione di entrare in monastero, ma l'età e l'opposizione della famiglia non glielo consentirono. Fu costretta, in un certo senso, a sposarsi ancora giovanissima, nel 1463. Il suo matrimonio fu un misero patteggiamento politico tra i Fieschi e gli Adorno, che a quei tempi erano le famiglie più ragguardevoli di Genova. Lo sposo, Giuliano Adorno, era di carattere violento, brutale, dissipatore, sregolato. E così Caterina trascorse i primi cinque anni del suo matrimonio in una desolante solitudine. Ecco, era uno di quei matrimoni sbagliati ed è interessante vedere come da un matrimonio sbagliato sia venuta fuori una vita santa: e ricordiamo che più tardi anche il marito seguirà Caterina sulla via della santità. Per dimenticare le delusioni familiari, ed anche per accattivarsi l'affetto del marito, fu suggerito alla giovane sposa di inserirsi nella vita mondana di Genova. E così la sua biografia, la Vita di Caterina da Genova, dove sono riportate anche molte sue riflessioni, racconta appunto che Caterina si diede, come le altre donne, alle cose del mondo; però, precisa la Vita, non alle cose del peccato. Questo periodo di dissipazione mondana si concluse nel 1473, quando Caterina aveva 26 anni, con la conversione; con la visione del Crocifisso, cui seguirono la confessione generale e l'incontro con l'Eucaristia, iniziò il ciclo della sua vita mirabile, come dice il biografo, che ebbe due fasi. Un primo periodo, che durò circa tre anni, fu un periodo di dura penitenza (un po' come avvenne a san Paolo che, dopo la conversione, si ritirò nel deserto d'Arabia per tre anni). Nella seconda fase Caterina percorse rapidamente il suo cammino spirituale che culminò, secondo lo schema classico della vita mistica, nel fidanzamento spirituale e poi nel matrimonio spirituale. Da notare che anche per questa santa, come per la sua omonima Caterina da Siena, la sola Eucaristia restò il cibo quotidiano. Caterina poi passò tutta la sua vita in preghiera e svolgendo attività caritative in un ospedale, l'ospedale di Pammantone; qui per ben 32 anni fu dedita ai più umili servizi e qui adunò un cenacolo di anime elette: uomini e donne, religiosi e laici, in compagnia dei quali Caterina seppe coniugare stupendamente, soprattutto negli ultimi dieci anni, le più alte espressioni della vita mistica, come le estasi e i rapimenti, con l'amore del prossimo che si traduceva in una dedizione quotidiana fra gli ammalati. Morì la notte tra il 14 e il 15 settembre del 1510, a 63 anni, e venne canonizzata nel 1737. Ci sono rimaste due opere di Caterina da Genova: una grande opera mistica, un po' difficile ma abbastanza breve, intitolata Il dialogo spirituale fra l'anima e il corpo, fra l'amor proprio, lo spirito, l'umanità e il Signore Iddio; e il piccolissimo Trattato sul purgatorio che ora vorrei presentarvi nelle sue linee fondamentali.



Il Trattato sul purgatorio

Prima di introdurci nell'esposizione di questa breve opera, è necessaria una premessa: Caterina afferma che scrive del purgatorio a partire dalla sua esperienza personale. Viene spontaneo domandarsi come potesse partire dalla sua esperienza personale per illustrare questo tema dato che, mentre scriveva il trattato, era nella sua condizione umana, viva su questa terra, e non nel purgatorio. Ebbene, l'intuizione profonda di Caterina da Genova è proprio questa: che già durante l'esistenza terrena possiamo fare nel nostro cuore l'esperienza dell'aldilà in tutte e tre le sue dimensioni, ossia dell'inferno, del purgatorio e del paradiso. D'altra parte, che noi abbiamo un anticipo del paradiso nella nostra esistenza terrena, ce lo dice chiaramente san Paolo quando afferma che già in questa vita abbiamo la caparra di quello spirito d'amore che ci verrà dato completamente in paradiso (cfr Ef 1,13-14 ed anche 2Cor 1,22; 5,5). Come abbiamo già accennato, coloro che vivono l'esperienza della disobbedienza e della ribellione a Dio, della bestemmia e dell'odio contro di lui, del più totale e radicale egoismo, già in questo mondo sperimentano nel loro cuore l'inferno; l'inferno nell'aldilà, poi, è soltanto una continuazione, sia pure in termini più radicali e irreversibili. Allo stesso modo, coloro che hanno trasformato il loro cuore nel tempio del Dio vivente, in cui dimora lo Spirito Santo coi suoi doni, già ora sperimentano quella pace, quella gioia, quella luce che poi in modo completo e totale godranno in paradiso. Anche del purgatorio, ecco l'intuizione di santa Caterina, possiamo avere in questa vita una conoscenza ed una comprensione anticipate, sperimentando nel cuore la purificazione dai nostri peccati. È noto che i maestri spirituali distinguono nel cammino mistico una fase che possiamo chiamare di conversione; poi una tappa successiva, lunga, difficile, faticosa, tormentata, ma gioiosa nel medesimo tempo, che è la purificazione: è quando la potenza dello Spirito Santo brucia in noi le radici del male e noi, con grande sforzo e cooperando con la grazia, ci liberiamo dalle scorie del peccato e dalle forme egoistiche dell'amore. Questo lungo cammino di purificazione sostenuto dalla grazia poi culminerà nell'amore perfetto, cioè con quella fase della vita mistica che vien chiamata unitiva. Caterina vede un'analogia fra l'esperienza che vivono le anime in purgatorio e l'esperienza che vivono le anime quaggiù nella tappa del cammino spirituale che è la tappa di purificazione: scrive che intuisce che cosa sia il purgatorio a partire da quel fuoco dell'amore divino che arde nel suo cuore e lo purifica; e benché con la sua volontà debba operare uno sforzo doloroso per liberarsi dalle scorie del male, tuttavia è contenta per quanto lo spirito d'amore di Dio compie nella sua anima, rendendola bella.



La gioia nel purgatorio

Allo stesso modo, spiega Caterina, le anime in purgatorio sono contente. Intanto sono contente di essere nel luogo in cui Dio le ha messe, che è un luogo di salvezza; sono contente quindi di essere in consonanza con la volontà di Dio; e sono contente, come lo è la sposa che si adorna per l'incontro col suo sposo, perché si rendono conto che Dio le sta facendo belle. E qui si vede la radicale differenza fra le anime che sono nel purgatorio e le anime che sono nell'inferno: le anime dell'inferno sono nel puro odio, mentre "le anime del purgatorio, cito le parole di Caterina, sono nella pura carità e non possono più deviare dalla pura carità e non possono desiderare nulla se non il puro volere della pura carità". Quindi le anime del purgatorio sono nell'amore e sono consapevoli che nessuno e nulla le potrà più separare o deviare da esso: di qui la loro gioia. E a riguardo della contentezza che esse provano, Caterina scrive: "Non credo che si possa trovare contentezza da comparare a quella di un' anima del purgatorio eccetto la contentezza dei santi nel paradiso". Aggiunge Caterina che questa contentezza, col passare del tempo, cresce sempre più perché a mano a mano che il tempo passa queste anime si trovano sempre più purificate. Tutti gli impedimenti che le separano da Dio diminuiscono, sfaldandosi al fuoco dell'amore divino; quella che Caterina chiama "la ruggine del peccato" si consuma, e quanto più le anime diventano belle, tanto più aumenta in loro la gioia: gioia di somigliare sempre più a Dio e gioia che il tempo che le separa dall'incontro con lui sia sempre più corto: "Tanto più la ruggine del peccato si consuma, tanto più l'anima corrisponde al vero sole, Iddio, e lo riflette come in uno specchio. Tanto perciò cresce la contentezza quanto vien meno la ruggine del peccato



Il dolore nel purgatorio

Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Caterina dice che le anime stanno nel purgatorio ad un tempo contente e tormentate: se da una parte provano una contentezza sempre crescente, dall'altra patiscono una pena indicibile: "Hanno poi pena tanto estrema che non si trova lingua che la possa narrare, né intelletto che ne possa capire una minima scintilla a meno che Dio non gliela mostri per grazia speciale". Ebbene, per qual motivo soffrono le anime nel purgatorio? Innanzitutto c’è una causa radicale della sofferenza, una ragione che è la stessa per ogni sofferenza, sia che soffriamo qui sulla terra, sia che soffriamo in purgatorio, sia che soffriamo all'inferno. Evidentemente, ben diverse sono le pene; ma la radice è una sola, ed è il peccato, originale o personale. Difatti dice Caterina: "Dio ha creato l'anima pura, semplice e netta da ogni macchia di peccato, quindi con un forte istinto beatifico verso di Lui". Come insegna la grande teologia cattolica, anche secondo Caterina l'anima si caratterizza per un forte istinto d'amore verso Dio, nascendo con una sete ardente di amore infinito. "Questo istinto beatifico, o sete di Dio, continua Caterina, rende insopportabile all'anima la lontananza da Dio, per cui più l'anima è tenuta lontana da Dio dal peccato sia originale sia attuale, tanto più la sua pena diviene estrema "Nell'inferno la pena dell'anima è estrema e radicale e senza speranza perché essendo l'anima morta nel peccato non ha più speranza di pervenire a Dio per il quale è stata creata". "Ma nel purgatorio, afferma la santa, l'anima è senza peccato, però ne ha ancora la ruggine. Essa quindi non può possedere Dio pur desiderandolo infinitamente. Di qui nasce la sua pena che è pena d'amore e questa pena sempre più diminuisce man mano che il momento di unirsi a Dio si avvicina. L'anima dunque da una parte è contenta perché si sente amata da Dio e sa che un giorno si unirà a lui; dall'altra soffre terribili pene d'amore perché non può appagare l'infinito desiderio di unirsi subito a Dio, del quale lei stessa si vede ancora indegna: le ragioni della sofferenza sono ragioni paragonabili alle pene d'amore quando siamo lontani dalla persona che amiamo e ci sentiamo indegni di lei. Tuttavia queste pene sono contemperate dalla contentezza che nel frattempo ci stiamo purificando e preparando per l'incontro d'amore. Quindi la pena del purgatorio è una pena d'amore: io non posseggo ancora tutto l'amore che costituisce la sete ardente della mia anima. A questo proposito Caterina porta l'esempio del pane: "L’uomo ha lo stimolo della fame e sa che solo un certo pane lo può saziare. Se fosse sicuro di non poter mai avere quel pane egli avrebbe il completo inferno, come le anime dannate, le quali sono private di ogni speranza di poter vedere il pane Dio, vero Salvatore". "Le anime del purgatorio, invece, hanno speranza di vedere il pane e di saziarsene completamente, perciò tanto tempo patiscono fame e stanno in pena, quanto tempo ci vorrà ancora per potersi saziare di quel pane che è Gesù Cristo, vero Dio Salvatore e Amore nostro". Con grande acutezza, dunque, Caterina da Genova coglie le ragioni per cui il purgatorio è il luogo della gioia e nello stesso tempo della pena; ed aggiunge un concetto molto interessante: le anime in purgatorio ci vanno volentieri, perché vedendo in se stesse la ruggine del peccato che impedisce loro di unirsi a Dio ed accorgendosi che questo impedimento non può essere levato per altro mezzo che quello del purgatorio, vi si gettano dentro "presto e volentieri, in modo tale da poter quanto prima accedere a Dio". È un concetto che Caterina illustra in una bellissima pagina in cui spiega ciò che avviene subito dopo il momento del giudizio particolare: "lo vedo che per la parte di Dio il paradiso non ha porta, ma chi vi vuole entrare vi entra. Dio è tutto misericordia e sta verso di noi con le braccia aperte per riceverci nella sua gloria. Ma ben vedo ancora che quella divina Presenza, quell'Essere divino è di tanta purità e chiarezza che l'anima la quale abbia in sé tanta imperfezione quanto sarebbe un minimo bruscolo si getterebbe in mille inferni piuttosto che trovarsi in presenza di quella divina Maestà con quella macchia. E perciò l'anima vedendo il purgatorio destinato per levare quelle sue macchie vi si getta dentro e le pare di trovare una grande misericordia per potersi togliere quell'impedimento". "Quanto sia terribile il purgatorio, sottolinea la santa, né lingua può esprimere, né mente capire, eccetto il fatto che io lo vedo di tanta pena come l'inferno". Qui le parole di Caterina suonano un po' contraddittorie con quanto affermato in precedenza; evidentemente, per lei il fatto di non potersi unire a Dio era una tale sofferenza da richiamarle a paragone la pena dell'inferno. "Tuttavia, continua, io vedo che l'anima la quale ha in sé una minima macchia di imperfezione, lo riceve per misericordia non facendone in certo modo nessun conto in paragone di quella macchia che ostacola il suo amore. Quindi abbiamo visto prima le ragioni della gioia che l'anima sperimenta nel purgatorio; poi le ragioni della sua sofferenza, la pena d'amore per non potersi unire a Dio e per sapersi indegna di lui. Però queste sofferenze sono mitigate dalla gioia perché l'anima sa di trovarsi nel luogo dove si sta preparando come una sposa che si adorna per il suo Sposo. Quindi si può parlare certo di fiamme del purgatorio, ma sono fiamme di amore divino; esse agiscono come il fuoco materiale con l'oro: più l'oro sta nel fuoco più viene purificato. Così in quel fuoco dell'amore divino l'anima viene purificata da ogni imperfezione e viene guidata verso la perfezione dell'amore finché non è pronta ad amare Dio con lo stesso amore con cui è amata da Dio. Mi pare, quindi, di poter concludere dicendo che il purgatorio può essere compreso soltanto con la categoria dell'amore. Il concetto di amore spiega sia la sofferenza sia la gioia che si trovano insieme nel purgatorio: gioia perché c'è la certezza dell'unione con Dio, sofferenza perché l'unione è procrastinata. Questa è dunque la condizione dei nostri cari nel purgatorio: hanno "contento grandissimo e pena grandissima e l'una cosa non impedisce l'altra". Ma ci consola sapere che le pene che soffrono sono pene di amore. Ebbene, ricordiamoci che possiamo affrettare la loro purificazione e il loro incontro come spose con lo Sposo mediante il nostro amore che si esprime pregando per loro. Si confrontino su questi argomenti i numeri 1030, 1031, 1032 del Catechismo della Chiesa Cattolica. 1030 Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo. 1031 La Chiesa chiama purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt'altra cosa dal castigo dei dannati. La Chiesa ha formulato la dottrina della fede relativa al purgatorio soprattutto nei Concili di Firenze e di Trento, la tradizione della Chiesa, rifacendosi a certi passi della Scrittura, parla di un fuoco purificatore: Per quanto riguarda alcune colpe leggere, si deve credere che c'è, prima del Giudizio, un fuoco purificatore; infatti colui che è la Verità afferma che, se qualcuno pronuncia una bestemmia contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro (Mt 12, 31). Da questa affermazione si deduce che certe colpe possono essere rimesse in questo secolo, ma certe altre nel secolo futuro" (San Gregorio Magno, Dialoghi, 4, 39). 1032 Questo insegnamento poggia anche sulla pratica della preghiera per i defunti di cui la Sacra Scrittura già parla: "Perciò [Giuda Maccabeo] fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato" (2Mac 12, 46). Fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio eucaristico, affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti: Rechiamo loro soccorso e commemoriamoli. Se i figli di Giobbe sono stati purificati dal sacrificio del loro padre, perché dovremmo dubitare che le nostre offerte per i morti portino loro qualche consolazione? Non esitiamo a soccorrere coloro che sono morti e ad offrire per loro le nostre preghiere (San Giovanni Crisostomo, Homiliae in primam ad Corinthios, 41, 5).