CHI E’ VENUTO DALL’ALDILA’?
Tratto da: L'ALDILA’ STUPENDA REALTA’ - Il Paradiso di P. GNAROCAS N.J. EDITRICE COMUNITÀ Via S. Pietro, 87 - ADRANO (Catania)
Don Teodosio Galotta, salesiano di Napoli, era ammalato così gravemente che i suoi parenti gli avevano preparato il loculo al cimitero con l'iscrizione già fatta.
L'urologo, dott. Bruno, fece questa diagnosi: Neoplasia prostatica con metastasi ossee e polmonari, una prostata aumentata di volume, di consistenza lignea e di superficie bornoccoluta.
La diagnosi era stata confermata dalle radiografie: Alterazione strutturale del terzo prossimale del femore destro e delle branche ischio-pubiche, specie a sinistra, per lesioni del tipo osteolitico. Nei campi polmonari alti, specie a destra, presenza di noduli neoplastici metastatici.
Descrivendo poi dettagliatamente quanto riscontrato, il radiologo, pro f. Acampora, aveva aggiunto: L'alterazione si presenta con scomparsa della normale trabecolatura ossea, sostituita da aree di osteolisi alternate ad aree di addensamento osseo, riproducenti il tipico quadro neoplastico del tipo osteoclastico e in parte osteoclastico. Successivamente si notò una frattura del piccolo trocantere di destra...
L'internista dott. Schettino, nella sua dichiarazione scritta, aveva parlato, in occasione dei due gravi collassi periferici, di condizioni fisiche molto precarie e di situazione molto pericolosa per la vita del paziente. Il medico legale a sua volta, dopo aver esaminato tutta la documentazione, disse che si trattava di una diagnosi precisa e non di un sospetto diagnostico o di un enunziato nosologico di probabilità.
La notte del 25-10-1976 Don Teodosio Galotta arrivò alla fine: era quasi in coma. L'assistente toccandogli il polso si lasciò sfuggire: Non si sente più.
Don Galotta, che ancora capiva, al sentire questo, invocò nel suo cuore i due martiri salesiani della Cina: Mons. Versaglia e Don Caravario, aiutatemi voi.
Subito gli comparvero i due martiri e gli dissero: Non temere, ci siamo noi.
All'istante Don Galotta guarì completamente. La documentazione medica è ora a Roma presso la Sacra Congregazione per le Cause dei Santi, per la beatificazione dei due martiri.
Chi è venuto dall'aldilà?
L'episodio qui riportato è uno dei miracoli studiati dalla Chiesa per la causa di Beatificazione di Papa Giovanni XXIII.
Suor Caterina Capitani, suora delle Figlie della Carità della provincia napolitana, cominciò ad accusare disturbi alla salute alcuni mesi dopo la vestizione. Era il 1962, la Suora aveva 18 anni e lavorava come infermiera presso gli Ospedali Riuniti di Napoli. Fino a quel tempo la sua salute era stata molto buona. Un giorno avvertì un dolore intercostale noioso, al quale non diede nessuna importanza. Dopo un paio di mesi però ebbe una emorragia e questa volta si spaventò. Era nella sua stanza. Ebbe un conato di vomito, corse al lavabo con la bocca piena di sangue molto rosso. Poiché le avevano insegnato che il sangue molto rosso proviene dal torace, pensò con terrore alla tisi. Con una simile malattia la sua vita di suora sarebbe finita perché la regola della Congregazione delle Figlie della Carità esige che le aspiranti religiose siano sane per poter affrontare i sacrifici che il lavoro in ospedale richiede.
Suor Caterina per il momento decise di non dir niente a nessuno. Per alcune notti non riuscì a dormire, ma poi, vedendo che l'emorragia non si ripeteva e che il dolore intercostale era scomparso, riprese la vita di sempre.
Per sette mesi non accadde più niente. Poi all'improvviso, senza alcun sintomo preventivo, ecco un'altra terribile emorragia che lasciò la suora molto spossata.
Cominciarono visite, controlli, esami clinici. Furono fatte radiografie del torace, dello stomaco, stratigrafie. Nessuno riusciva a trovare il perché di quelle emorragie.
Nel 1964 i medici degli Ospedali Riuniti si dichiararono vinti e Suor Caterina passò all'Ospedale «Ascalesi» sotto le cure del professor Alfonso DAvino.
Una eso fagoscopia rivelò una zona emorragica nel segmento toracico: sembrava che tutti i malanni provenissero da lì. Allora la Suora fu portata all'Ospedale Pellegrini dell'ematologo professor Giovanni Bile, ma anche egli non riuscì a migliorare la situazione. Restò un'ultima speranza: ricorrere al prof. Giuseppe Zannini, direttore dell'Istituto di semeiotica chirurgica dell'Università di Napoli, una personalità di spicco nel campo medico internazionale. Dopo una lunga visita e un'analisi minuziosa di tutti i referti degli altri medici, il professor Zannini iniziò una nuova cura che durò cinque mesi. Anche questa volta però la situazione non cambiò, per cui il professore decise di sottoporre la Suora a un intervento chirurgico.
Suor Caterina fu ricoverata nella Clinica Mediterranea e tre giorni dopo venne operata. L'intervento durò cinque ore. Lo stomaco, all'interno, era completamente ricoperto di varici. Una forma ulcerosa strana e rara, provocata forse da un cattivo funzionamento della milza e del pancreas che risultavano in pessime condizioni. Il professore fu costretto ad asportarle lo stomaco, la milza e il pancreas. Si trattò di un intervento molto delicato e le probabilità che la Suora uscisse viva dalla sala operatoria erano minime. Il pericolo sembrava superato. Le consorelle di Suor Caterina, senza perdere la fiducia, continuavano a pregare con fervore Papa Giovanni.
Nei giorni seguenti l'operazione lo stato di salute della Suora andò peggiorando. Durante la prima notte ebbe un collasso, poi un blocco intestinale la gonfiò come una botte. Il professore, molto preoccupato, pensava che fosse necessario un altro intervento. Ma dopo nove giorni le condizioni della Suora migliorarono all'improvviso, ma fu un miglioramento illusorio.
Tre giorni dopo, mentre la Suora stava sorseggiando un po' di liquido ed ecco che divenne cianotica e perse i sensi. Accorsero i medici con l'ossigeno. La visitarono riscontrandole la pleurite. In seguito alle cure appropriate ci fu un miglioramento e dopo dieci giorni fu in grado di uscire dalla clinica.
Ancora una volta però il miglioramento fu brevissimo: dopo due settimane cominciò a peggiorare. Suor Caterina vomitava succhi gastrici in grande quantità.
Erano così forti che le bruciavano la pelle. Dopo alcuni giorni aveva la parte inferiore della faccia ridotta a una piaga e poiché non riusciva a ingerire niente, veniva nutrita con flebloclisi. Il professore Zannini, sempre più preoccupato, decise di mandarla a casa, a Potenza, per provare se l'aria nativa potesse giovarle. Ma dopo due mesi la Suora ritornò a Napoli peggiore di quando era partita. Sembrava un cadavere.
Il 14 maggio 1966, dopo una breve crisi di vomito, si era aperto sullo stomaco un buco dal quale uscivano succhi gastrici, sangue e quel poco di succo d'arancia che la Suora aveva bevuto poco prima. Si era formata una perforazione che aveva causata una fistola esterna. Era in atto una peritonite diffusa. La febbre era salita a 40. La situazione era disperata. Il professor Zannini la fece ricoverare immediatamente all'Ospedale della Marina. Le ordinò delle medicine in attesa dello sviluppo della crisi, perché un intervento chirurgico in quelle condizioni era impensabile.
Essendo in pericolo di morte, fu concesso alla Suora di emettere i voti anzitempo e dopo le fu amministrato l'Olio degli Infermi.
Nel frattempo una consorella le portò da Roma una reliquia di Papa Giovanni, che Suor Caterina mise sulla perforazione dello stomaco e pregava il Papa di portarla con lui in Paradiso. La fine si avvicinava.
Il 25 maggio verso le 14,30 Suor Caterina si assopì. A un certo punto sentì una mano che le premeva la ferita sullo stomaco e una voce d'uomo che la chiamava. La Suora pensò che fosse il professor Zannini che ogni tanto veniva a controllare le sue condizioni. Suor Caterina si girò verso la parte da cui veniva la voce e vide, accanto al suo letto, Papa Giovanni. Era lui che teneva la mano sulla ferita dello stomaco. Papa Giovanni le dice: Non temere, non hai più niente. Suona il campanello, chiama le suore che stanno in cappella, fatti misurare la febbre e vedrai che la temperatura non arriverà neppure a 37 gradi.
Mangia tutto quello che vuoi, come prima della malattia. Non avrai più niente. Va dal professore, fatti visitare, fa'delle radiografie e fai mettere tutto per iscritto, perché un giorno queste cose serviranno.
La visione scomparve e solo allora mi resi conto che non era stato un sogno. Suor Caterina si sentiva bene, non aveva più alcun dolore. Suona il campanel
lo, le suore accorrono. La madre superiora pensò subito che la suora fosse in preda al delirio che precede la morte.
Trovarono la Suora seduta a metà letto. La guardavano trasognate. Suor Caterina, non potendo contenere la gioia, quasi gridando disse: Sono guarita. È stato Papa Giovanni. Misuratemi la febbre, vedrete che non ho più nulla. La febbre arrivò a 36,8. Ora datemi da mangiare perché ho fame.
La febbre arrivò a 36,8. Con grande voracità ingoiò semolino, polpette, una minestrina, anche un gelato. Era guarita completamente. Della fistola nessuna traccia: la pelle era liscia, pulita e bianca. Allora Suor Caterina raccontò alle sue consorelle l'apparizione di Papa Giovanni.
Da quel giorno Suor Caterina non ha avuto più niente. I medici la visitarono, la sottoposero a decine di radiografie. Dei suoi malanni non c'era più nessuna traccia.
Il giorno dopo il miracolo la suora riprese una vita normale. Sono trascorsi più di 27 anni e ella sta benissimo.
Il testimonio più prezioso del miracolo è il professor Zannini, il quale afferma: La guarigione di Suor Caterina è un caso di cui non trovo spiegazione nella scienza medica. Ho operato io l'ammalata, le ho asportato quasi tutto lo stomaco perché affetto da una gastrite ulcerosa emorragica gravissima. Le lasciai poco più di un centimetro di stomaco. Le asportai anche la milza. Ci fu una convalescebnza difficile, l'ammalata non poteva nutrirsi. Poi si aprì la fistola, ci fu fuoriuscita di liquido, peritonite, febbre altissima, stato ansioso grave, condizioni disperate.
Non era possibile intervenire con una nuova operazione. Feci delle prove: tutto quello che l'ammalata beveva usciva dalla fistola. Consigliai trasfusioni, plasma, antibiotici, più che altro come terapia d'attesa. Non ebbi successo: la fistola s'ingrandì e le condizioni dell'ammalata peggiorarono. Avevo pensato di far trasportare Suor Caterina alle sezione rianimazione degli Ospedali Riuniti di Napoli per fare un ultimo tentativo. Invece ricevetti una telefonata in cui mi diceva che la Suora era migliorata. Andai a trovarla e con mia somma sopresa la trovai perfettamente guarita. Per il momento non venni informato di quello che era realmente accaduto. Continuai il mio lavoro di medico sottoponendo l'ammalata ad esami radiografici, visite, ecc. Nessuna traccia di malattia. Solo venti giorni dopo la superiora m'informò dell'apparizione di Papa Giovanni.
Affermo che non ho mai visto una cosa del genere, né posso immaginare come ciò sia potuto accadere. Non trovo modo di spiegare scientificamente quello che è accaduto.
Sono un medico e ho seguito il caso con la freddezza del medico. Sono stato anche più pignolo e scrupoloso dopo che mi hanno raccontato dell'apparizione di Papa Giovanni.
Sono pienamente convinto che si tratta di una guarigione assolutamente inspiegabile, al di fuori delle leggi fisiologiche e dell'esperienza umana. Il fatto che resista da tanti anni, senza ricadute, la rende ancora più inspiegabile e insieme importante.
(Da « Un uomo mandato da Dio - Biografia di Giovanni XXIII» di Renzo Allegri - Editrice Ancora Milano).
Chi è venuto dall'aldilà?
Il Venerabile P. Domenico di Gesù Maria (+1630) era solito tenere nella sua cella, come si usa nell'Ordine Carmelitano, un teschio vero, sia per ricordare la morte come per avere un richiamo al dovere di carità di suffragi verso i defunti.
Quando arrivò al convento di Roma, nella cella che gli venne assegnata trovò un teschio, da cui una notte udì una voce alta e spaventevole che gridava: «In memoria hominum non sum - nessuno si ricorda di me». Le parole furono ripetute più volte e udite in tutto il dormitorio del convento. Il Venerabile rimase stupito e timoroso, dubitando che si trattasse di un fenomeno diabolico. Si mise subito a pregare per sapere cosa dovesse fare. Prese poi dell'acqua benedetta e aspergendola sopra il teschio, il medesimo pronunciò queste altre parole: «Acqua, Acqua, misericordia, misericordia».
Il religioso gli domandò chi era e che misericordia voleva. Il defunto rispose dandogli queste informazioni: era un tedesco, venuto a Roma a visitare i Luoghi Santi. Il suo corpo era stato sotterrato da molto tempo nel camposanto, l'anima si trovava in Purgatorio a patire pene intollerabili. Non aveva nessuno che gli facesse del bene, né chi si ricordasse di lui, e perciò lo pregava di aspergerlo continuamente con l'acqua benedetta. Gli raccomandò che pregasse per lui il Signore affinché lo liberasse da quelle pene.
Padre Domenico promise. Pregò molto e fece penitenze. Pochi giorni dopo il defunto gli comparve in cella per ringraziarlo del beneficio della liberazione dal Purgatorio, promettendogli riconoscenza.
(Dai processi di beatificazione del P. Domenico di Gesù Maria)
Chi è venuto dall'aldilà?
A Roma, nel 1873, alcuni giorni prima della festa dell'Assunzione, in una di quelle case, dette di tolleranza, accadde che si ferisse alla mano una di quelle sciagurate giovani. Il male, che in sulle prime fu giudicato leggero, inaspettatamente si aggravò tanto che la misera, trasportata all'ospedale, morì nella notte.
Nello stesso istante una delle sue compagne, che non poteva sapere ciò che avveniva nell'ospedale, cominciò a gridare disperatamente, così che svegliò gli abitanti del quartiere, mettendo lo sgomento fra quelle miserabili inquiline e provocando l'intervento della questura.
La compagna morta nell'ospedale le era apparsa, circondata di fiamme, e le aveva detto: Io sono dannata e se tu non lo vuoi essere, esci subito da questo luogo d'infamia e ritorna a Dio!
Nulla potè calmare l'agitazione di questa giovane, la quale, appena spuntata l'alba, se ne andò via, lasciando tutta la casa nello stupore, specialmente allorché si seppe della morte della compagna nell'ospedale.
Stando così le cose, la padrona del luogo infame, che era una garibaldina esaltata, si ammalò gravemente e, pensano all'apparizione della dannata, si convertì e volle un Sacerdote per ricevere i Santi Sacramenti. L'autorità ecclesiastica incaricò un degno Sacerdote, Monsignor Sirolli, Parroco di San Salvatore in Lauro, il quale richiese all'inferma, alla presenza di più testimoni, la ritrattazione delle sue bestemmie contro il Sommo Pontefice e la dichiarazione di cessare dall'infame industria che esercitava. La donna morì con i Conforti Religiosi.
Tutta Roma conobbe ben presto i particolari di questo fatto. I cattivi, come sempre, si burlarono dell'accaduto; i buoni invece ne approfittarono per divenire migliori.
Chi è venuto dall'aldilà?
Nell'anno 1863 fu ricoverata all'ospedale del Cottolegno la sessantenne israelita Sara Pescarolo. Un Sacerdote la visitò più volte e fece pregare il Servo di Dio P. Giuseppe Cottolengo (+1842) affinché avesse la grazia del Battesimo. Di questo Sacramento egli parlava vagamente all'inferma. Ella rispondeva: Adesso no. - Vedendola in pericolo di morte «mi feci a parlare schiettamente e apertamente sulla necessità del Battesimo per salvarsi - racconta il teste Don Domenico Bosso - e da una parola che proferì mi parve che fosse disposta a riceverlo, per cui mi accinsi ad amministrarglielo, ma essa si alzò dal capezzale furibonda, respingendomi con le mani e dimostrando nel modo più energico la sua volontà contraria. Le feci notare che se io mi ero accinto ad amministrarle il Battesimo, fu perché credevo che fosse disposta a riceverlo, ma vedendo che la cosa non era così, le disse che stesse pure tranquilla che io non glielo amministravo, poiché la religione stessa ci vieta di conferire il Battesimo a chi non lo vuole ricevere, e che mai io avrei usato violenza». Don Bosso si ritirò a pregare. «Dissi con confidenza queste precise parole: "Padre Cottolengo, se siete in Cielo, come lo credo fermamente, e se il processo canonico che deve iniziarsi di qui a qualche giorno è di gloria di Dio, e dovrà quindi avere un buon esito, datemi un segno. Il segno che vi domando è la conversione di quella israelita, ma fate in modo che non sia più io a presentarmi a lei per persuaderla a farsi battezzare, ma lei stessa mi faccia chiamare e mi preghi a volerla battezzare!". Con mio stupore l'inferma non solo non morì in quella notte, ma ebbe un piccolo miglioramento...».
L'indomani (sabato) il medesimo Sacerdote fu avvisato che la Pescarolo per ben tre volte l'aveva chiamato, che voleva parlarli e che voleva essere battezzata quella sera stessa. L’ ammalata manifestava a Don Bosso che desiderava sinceramente di essere battezzata. Il Sacerdote volle che dichiarasse questa sua volontà davanti a due testimoni. Accondiscese e così fu fatto. La domenica successiva, dopo nuova interrogazione alla presenza di tre altri testimoni, fu battezzata, dimostrandosi tutta contenta. Otto giorni dopo, davanti al rabbino, dichiarava fermamente: «Sì, sono io che ho voluto farmi cristiana e nessuno mi ha costretta».
(Dal processo per la beatificazione e canonizzazione di Giuseppe B. Cottolengo).
Chi è venuto dall'aldilà?
(«Io sarò alle tue spalle a proteggerti») Rachelina Ambrosini, una ragazza di eccezionale bontà, moriva il 10 marzo 1941 a soli 15 anni e 8 mesi. Dopo la morte continuò a farsi viva. Ecco alcuni episodi. Umberto Mirra da Campanarello (Avellino), nel 1941 è alle armi, si ammala di polmonite e viene condotto all'ospedale di Salerno. Una notte gli appare Rachelina vestita tutta di bianco e gli dice: «Non aver paura, stai già bene e fra poco andrai a vedere la tua famiglia». La predizione si avverò pienamente. - Lo stesso anno il Mirra è trasferito dalla Sicilia all'alta Italia per prepararsi ad andare in Russia. Una notte gli appare di nuovo Rachelina e gli dice: «Non aver paura, per te c'è chi ci pensa; parti contento; tornerai sano e salvo». In Russia, nel 1942, sta per iniziarsi un'azione bellica e Umberto è molto preoccupato. Rachelina gli appare la terza volta: «Perché sei così malinconico e hai tanta paura? I Russi sono già andati via; tu e i tuoi compagni andate senza timore. Già te lo dissi che tornerai a casa sano e salvo». E infatti - conclude la relazione - sono tornato a casa mia».
A Domenico Colantuoni, soldato a Cava dei Tirreni, e disperato perché deve partire per la Sicilia, la «santina», come egli la chiama, batte sulla spalla - mentre in pieno giorno si è addormentato - e gli dice: «A che pensi? Su, su, non preoccuparti che io sarò alle tue spalle a proteggerti». Infatti invece che in Sicilia viene mandato a Salerno. Qui per un po' le cose vanno bene, ma poi incominciano i bombardamenti e i pericoli.
Una notte, mentre dopo una delle solite incursioni, il Colantuoni prende un po' di sonno, torna Rachelina. Altro che festa con quella musica! E lei a insistere: «Stai contento che io ti proteggo».
Di lì a un po' arriva il sergente e gli ordina di andare con altri a tagliare dei rami d'albero per mascherare un po' le tende. Colantuoni si alza e obbedisce. Mentre ritornano, ecco gli aeroplani nemici, i compagni cercano rifugio sotto un'altra ripa; Domenico, senza saper perché, rimane distaccato da loro e si arrangia come può. Cade una bomba: quelli che sono sotto la ripa vengono travolti, Colantuoni rimane completamente illeso -.
Antonio Villani narra, sotto vincolo di giuramento, il seguente episodio: «Nel 1942, trovandomi nello spaccio cooperativo del mio reggimento (4 carristi), udii un collega di armi raccontare quanto appresso. Trovandomi accampato in località esposta alle offese del nemico, una notte, mentre riposava, gli appare una giovinetta e gli dice di allontarsi da quel luogo perché vi sarebbero cadute delle bombe. Il soldato non dette importanza e continuò a dormire. Una seconda volta comparve la fanciulla che gli ripeté con insistenza di allontanarsi di lì e mettersi in salvo se non voleva rimanere ucciso. Il soldato, impressionato, avvertì i compagni, ma questi scoppiarono a ridere e lo motteggiarono, per cui anche egli, sebbene con l'animo turbato, rimase sotto la tenda con loro. Ed ecco che l'apparizione ritorna per la terza volta e gli dice: «Non vuoi proprio salvarti? Io ti confermo, che fra pochi minuti il campo sarà bombardato». Allora il sodato, sgomento, le domandò: «Ma tu chi sei?». L'apparizione rispose: «Sono Rachelina Ambrosini, figlia del Dott. Alberto». Il suo aspetto era di un angelo. Il soldato si alzò di scatto esclamando: «Chi mi vuol seguire, mi segua, e uscì dalla tenda seguito da altri due soldati. Gli altri rimasero. Ma non erano trascorsi che pochi minuti quando apparecchi nemici rovesciaraono sul campo proiettili d'ogni calibro seminandovi la distruzione e la morte» (I. Felici - Il volo di un Angelo - Ediz. Paoline).
Chi è venuto dall'aldilà?
San Leopoldo Mandic è il famoso Cappuccino confessore a Padova, morto nel 1942. Le sue apparizioni dopo morte, numerose e ben documentate, costituiscono (come quelle degli altri santi) altrettanti indizi della sopravvivenza. Le guarigioni istantanee di malattie organiche seguite in parecchi casi alle apparizioni indicano che non si tratta di allucinazioni. Ecco il racconto di una pe rsona guarita.
Il fatto che, in certe apparizioni, il Santo sia stato creduto persona corporea vivente in questo mondo, che sia stato toccato, che abbia portato oggetti fisici, fa pensare ad un corpo parasomatico. Ecco il caso di Teresa Pezzo:
«Ero da molto tempo affeta da gravi disturbi al fegato. Si tentarono varie cure, ma tutto inutilmente, tanto che il 22 ottobre 1946, nonostante il persistere della febbre, venni sottoposta a gravissimo intervento chirurgico di oltre tre ore. Dopo parecchi giorni passati tra la vita e la morte, mi ripresi alquanto e andai a Bovolone presso lo zio Arciprete, monsignor Bartolomeo Pezzo. Per un po' di giorni tutto andò bene, ma il 4 dicembre dovetti rimettermi a letto perché mi ritornarono fortissimi i dolori, la febbre risalì oltre i 40, ricominciò il vomito quasi continuo, tanto che non potevo ritenere nemmeno una goccia d'acqua. Si aggiunse un gonfiore duro e voluminoso al di sopra del taglio dell'operazione; i dolori continui e acutissimi si estendevano alla gamba e al braccio destro. Divenni così debole che non potevo quasi più parlare. Il medico curante dichiarò che si era ritornati allo stato di prima dell'operazione e forse peggio.
Dietro esortazione di un padre cappuccino, di passaggio da Bovolone, il giorno 8, domenica, cominciai la novena di Padre Leopoldo e posi una sua reliquia sulla parte ammalata. Martedì notte, mi addormentai alle 11.30. Sonava mezzanotte quando all'improvviso mi apparve Padre Leopoldo. Era identico alla sua immagine, ma senza stola e molto più bello. La stanza, quantunque la luce fosse spenta, era illuminata a giorno. Il Padre si avanzò sino quasi al mio letto. Tra noi due avvenne il dialogo seguente:
"Mamma! Mamma!" gridai io tra gioia e lo spavento.
"Non aver paura!" disse Padre Leopoldo. "Tu ti accosti tutte le mattine alla santa comunione a letto, non è vero?".
"Sì, Padre".
"Domani" continuò Padre Leopoldo mettendomi una mano sulla spalla "alle 8 vai in chiesa, ascolta la santa messa e fai la comunione, perché sei guarita. E ogni giorno dovrai recitare una corona di Gloria Patri. Questo per tutta la vita".
"Sì, Padre, anche due!".
"Brava! Tu hai sofferto molto nella tua vita, specie in questo ultimo periodo, ma questo, cara, lo troverai nella eternità! Tu devi sempre fare del bene al mondo e, se ti giungerà qualche brutto momento, dolori e malattie, sopporta tutto con rassegnazione e soffri tutto per amore di Dio" .
"Padre, che grazia!".
"Quando termini la novena?". "Lunedì ".
"Allora tornerò lunedì a mezzanotte perché ho molte cose da dirti. Intanto ti dò la benedizione".
«Mi benedisse e scomparve dicendo: "Sia lodato Gesù Cristo!" ».
«Scomparso Padre Leopoldo, mi scossi. Credevo di aver sognato, ma mi trovai perfettamente guarita. Non più dolori al fegato, scomparso il gonfiore, i dolori alla gamba e al braccio, cessata la febbre.
La zia, che dormiva in camera con me, aveva sentito tutte le parole mie, ma non quelle di Padre Leopoldo, e non aveva visto nulla.
La mattina mi alzai, scesi frettolosa le scale, mentre il giorno prima non potevo nemmeno reggermi in piedi, andai in chiesa alla Messa delle 8, feci la santa comunione, rimasi a lungo in preghiera e poi, ritornata in canonica, mangiai con un appetito formidabile senza sentire alcun disturbo. Ero perfettamente guarita.
Il fatto suscitò nel paese una grande impressione, perché a tutti era nota la mia dolorosa condizione, e si accese una vivissima attesa della nuova apparizione promessa. Gran numero di persone m'incaricarono di presentare a Padre Leopoldo domande su diverse cose. Alla mezzanotte tra il 16 e il 17 dicembre, Padre Leopoldo mi comparve di nuovo, circonfuso di luce, in modo da illuminare la stanza a giorno. Mi parlò di molte cose riguardanti la mia vita spirituale e mi raccomandò in modo particolare di pregare. Poi rispose alle domande che gli presentavo. Io scrivevo le risposte man mano che Padre Leopoldo parlava, e le scrivevo alla luce della visione perché la lampada era spenta. La zia che dormiva nella stessa camera e un sacerdote fuori dalla porta udivano le mie parole, ma non vedevno nulla e non sentivano le parole del Padre. Appena questi scomparve, io accesi la lampada esclamando: "Che bellezza!
Che bellezza!': Tenevo in mano il foglio che avevo scritto sotto dettatura di Padre Leopoldo, con la penna fornitami dallo stesso Padre.
Mia zia mi disse poi che durante la visione cera per lei nella stanza buio perfetto, mi aveva sentito far scorrere velocemente la penna sulla carta, ma che quando Padre Leopoldo scomparve e si accese la lampada, essa vide in mano mia il foglio scritto, ma non la penna con cui l'avevo scritto.
Rileggendo le risposte di quel foglio, rilevai una cosa molto importante: Padre Leopoldo si lamenta quasi con tutti che pregano poco e male, e insiste con tutti che preghino di più se vogliono che Dio li benedica». Valdiporro (Verona), 28 dicembre 1946: Teresa Pezzo.
Chi è venuto dall'aldilà?
Una sera afosa di luglio, uno dei più noti professionisti di Milano, l'istologo A.P. (si tace il nome per volontà del protagonista della vicenda) lasciò la clinica per recarsi nel suo studio. Qui visitò un'ammalata, e mentre stava stendendo una breve relazione, entrò l'infermiera dicendo con voce strana: Professore, c'è di là una bambina. -Andò in anticamera a vedere. «In piedi, contro la porta d'ingresso - narra il professore - c'era una bambina di dieci anni circa, magrolina, pallida d'un pallore quasi mortale e nel cui volto brillavano due occhi immensi, febbrili che si guardavano fissi. Un abitino a fiori di percalle, e due treccine brune ornate da due nodini rossi, ma d'un rosso tanto vivo da dare fastidio. Le chiesi: "Che vuoi piccola? sei sola?..."
Mi guardò fissamente, poi con una voce del tutto imprevista, opaca, disse: - la mamma è tanto malata ! - E... dov'è la tua mamma? - In via Pioppette. - Non so perché rispondo: Vengo subito -.
Vado in studio, depongo il camice e torno in anticamera. La bambina non c'era più. Chiedo: Dov'è andata? - È uscita, dice l'infermiera.
Spinto da una oscura urgenza mi precipito sul pianerottolo. Nulla. Scomparsa. Rimango un attimo perplesso, poi un'ansia sempre più mi pervade, afferro la borsa, scendo, salto in macchina e vado in via Pioppette, nel quartiere più antico di Milano: Porta Ticinese. Ma lì giunto mi accorgo che non conosco il nome della donna né il numero di casa... Come seguendo un richiamo mi infilo in un portone. C'è uno stambugio con una vecchia che accarezza un gatto. Chiedo se per caso nella casa c'è una donna ammalata che ha una bambina così e così. Vedo la vecchia sbarrare gli occhi e dire che sì, è la Caterina Terrani e abita al secondo piano. Salgo le scale e mi trovo davanti a una porta socchiusa. Non so perché, entro... Su un letto c'è una donna di una magrezza spaventosa, che ad un primo sguardo pare morta. Mi accosto, respira, ma il polso è quasi nullo e il cuore batte tanto debolmente da denunciare uno stato preagonico. Non mi perdo in congetture, faccio subito un'iniezione di adrenalina, poi mi siedo, in attesa... Della bambina nessuna traccia. Guardo la donna e scopro su quel volto terreo, già bagnato dal freddo sudore dell'agonia, una parvenza di colore; vedo le palpebre vibrare, la bocca dischiudersi, la testa girare come in cerca di respiro. Mi accosto. Il polso ha ripreso un poco, il cuore batte più regolarmente. Provoco con breve massaggio una ripresa cardiaca.
Dopo un po' quella donna quasi morta apre gli occhi e mi guarda stupita. Dice con la voce appannata: Ma lei chi è? - Sono il dottore... - Sbarra gli occhi e riprende: Il dottore? Ma... chi le ha detto di venire qui? Sa, dottore, io sono in questo letto da ieri pomeriggio... - Aggiungo: È venuta da me una bella bambina con due treccine e un vestito a fiori, e... -
La donna spalanca la bocca, si alza sui gomiti, mi guarda con gli occhi sbarrati, atterriti... M'afferra un braccio, lo stringe, parla spasmodicamente: Lo sapevo, lo sapevo! Ho tanto pregato la Madonna che non mi facesse morire senza prima aver portato la mia Marina al cimitero... Dottore venga, venga di là. -
Non so come trova la forza di alzarsi e mi trascina a una tenda... Al di là della tenda c'è una stanzetta piccola, immersa in un'ombra cupa, appena rischiarata da una candela. Su un misero giaciglio è stesa, nella immobilità della morte, una bambina dall'apparente età di dieci anni, dalle treccine brune ornate da due nastri rossi... Mi chino per guardarla bene. È lei, la bimba che è venuta nel mio studio. La guardo senza essere nemmeno spaventato; mi sento schiacciato dal senso oscuro del mistero. Avverto il mormorìo della madre: Madonna santa, grazie per aver ascoltato le mie parole. La mia bimba mi ha salvato. Io non so come ciò sia avvenuto. - Poi si volge a me e dice: Dottore, quando ieri è morta la mia Marina, io ho avuto un colpo al cuore e, dopo averla composta, sono caduta su quel letto. Capivo che stavo morendo e mi disperavo, sola com'ero, per non poter fare ciò che era necessario per la mia bambina. E pensavo: O se la mia Marina fosse viva in questo momento. Adesso lei, dottore, è qui e... - S'inginocchia, si raggomitola e comincia a piangere tutte le lacrime del suo disperato dolore e della sua gioia inconcepibile.
Sono passati parecchi anni. Caterina Terrani, ancora vivente, è terziaria presso un convento alla periferia di Milano. Per quanto riguarda una spiegazione al fatto, io dico che si tratta di un autentico miracolo... - (Da «Raggio di sole», Luglio-Agosto 1967, dell'Unione Cattolica Ammalati).
Chi è venuto dall'aldilà?
Il mattino di giovedì, 2 aprile 1985, moriva a Roma, nel Convento dei Frati Minori in Via Merulana, Padre Emanuele Chiettini, Frate di santa vita.
Alle 10 di quel giorno egli è atteso invano al suo confessionale. Viene ricercato, non si trova. Si telefona al Monastero delle Clarisse di Via in Selci, dove da 38 anni era solito celebrare la S. Messa di buon mattino. Si risponde che anche quel giorno il Padre Emanuele aveva già celebrato il Sacrificio Eucaristico e poi era andato via.
Dopo diligente ricerca, Padre Chiettini viene trovato morto in un recondito angolo di un corridoietto pochissimo frequentato, chiamato «delle botteghe oscure».
L'indomani va a celebrare la S. Messa, al posto del defunto, il Padre Alessio Benigar che trova le Suore addolorate per l'improvvisa scomparsa di P. Chiettini.
Dopo la celebrazione della Messa, Suor Celina, Abbadessa del Monastero, riferisce al Padre Alessio che circa le 9.15 del giorno precedente, mentre si trovava nella sua cella, fu colpita come da un lampo improvviso, quasi un flash fotografico, accompagnato da un lieve scatto. Alla sua richiesta del significato di quel segno, Padre Alessio disse a lei e alle Suore: «Non piangete, non siate tristi! Padre Emanuele è vivo, è felice! L'ho visto io tutto luminoso con questi miei occhi, così come ora vedo voi. Non ho mai visto nulla di simile in vita mia! Mi ha detto: "Sono felice!" ».
Padre Emanuele Chiettini era già in Paradiso. (Dall'Osservatore Romano del 4 maggio 1985).
Chi è venuto dall'aldilà?
(«Sono N. N... Se non mi avessero ucciso»)
«In un paesello dell'Italia centrale viveva la famiglia "Berardi" benestante, dedita ai lavori dei campi e di sentimenti profondamente cristiani. Una figlia, che chiamerò Marcella, era cresciuta sana ed esuberante di vita. A tredici anni per la prima volta avvertì un malessere misterioso, che tale le rimarrà per ben dieci anni...».
Così Mons. Corrado Balducci inizia il racconto di un caso di possessione diabolica, nelle sue varie vicende e tentativi di esorcismo, nel libro «La possessione diabolica - Ediz. Mediterranea, Roma». Questo racconto fu pubblicato nella rivista «Famiglia mese, n. 4,1975», dalla quale se ne riporta un tratto.
Nella povera donna si erano insediati dieci spiriti. In seguito ai diversi esorcismi, nove di essi furono cacciati. L'ultimo spirito aveva dichiarato: «Io sono forte e potente; io non uscirò!».
Più volte il Sacerdote aveva scongiurato lo spirito a manifestare il suo nome, ma si rifiutava sempre. Un pomeriggio, nella chiesa gremita di gente, durante le preghiere di rito l'esorcista chiese: Dimmi, chi sei? - Tra lo spavento e il terrore dei presenti, si udì un grido: Sono NN - e pronunziò il nome di un uomo conosciutissimo in paese, vittima qualche anno prima di un attentato (lo chiamerò Pallante).
La stessa sera a tarda ora il Parroco, mentre esorcizzava privatamente in casa Berardi, interrogò così: «Dì, mi conosci? - E lo spirito: Mi hai portato al cimitero; tu quella notte pregasti per me e per la mia famiglia: ormai però le tue preghiere erano inutili... io ero dannato.
In altra circostanza Pallante parlò così al Sacerdote: Se non mi avessero ucciso così presto, tu forse mi avresti convertito! Ti prego, porta via quella croce posta sul luogo del delitto, e passando di lì non dire più quelle preghiere, mi dai pena. Ho fatto questa fine perché ho ricevuto fin da bambino una cattiva educazione. Prega per mia sorella (la fattucchiera) che non venga in questi luoghi di tormento. Certo dovrei uscire da questa ragazza, perché i miei hanno ricevuto del bene dalla sua famiglia: l'anno scorso mia moglie è venuta qui a raccogliere le ulive (tutto rispondeva a verità).
E ancora: Povera figlia mia; quando saprà che sono io, quanto dovrà soffrire. Questa notte si è svegliata, ha preso la mia fotografia, piangendo mi ha baciato e mi ha detto: Papà, papà, se sei tu, esci da quella ragazza perché qui tutti mi dileggiano.
Se dunque - interruppe l'esorcista - tu ci hai conosciuto, se tante volte siamo stati insieme, perché non ci fai del bene? Lascia in pace questa ragazza.
Da parte mia - riprese lo spirito - sarei pronto a farti del bene... ma non posso - e qui lo spirito, perdendo per un istante la sua abituale asprezza, con voce pacata continuò - Pensa: anima dannata vuol dire diavolo, e diavolo portare al male!
Un altro giorno l'esorcista, nella chiesa sempre gremita di gente, interrogò lo spirito: Si soffre all'Inferno? C'è il fuoco?
L'ossessa che balzando indietro dette in un gran sospiro e disse: Pensa, una goccia di quel fuoco sarebbe sufficiente per incenerire ciquemila persone!
- Ma Dio che ti ha condannato è ingiusto? - No, è giusto.
Chi è venuto dall'aldilà?
È noto il rigore dei Processi di Canonizzazione. La Chiesa, prima di elevare qualcuno agli onori degli altari e dichiararlo Santo, esamina la sua vita e specialmente i fatti rilevanti. Il seguente episodio, scrupolosamente autentico, fu inserito nei Processi di Canonizzazione di San Francesco di Girolamo, celebre missionario della Compagnia di Gesù, vissuto nel secolo scorso.
Un giorno questo Sacerdote predicava a una gran folla in una piazza di Napoli. Una donna di cattivi costumi, di nome Caterina, abitante in quella piazza, per distrarre l'uditorio durante la predica, si diede a fare schiamazzi e cenni inverecondi dalla finestra.
Il Santo dovette interrompere la predica, perché la donna non la smetteva più. Fu inutile ogni protesta. Il giorno seguente il Santo ritornò a predicare sulla stessa piazza e, vedendo chiusa la finestra della donna disturbatrice, domandò cosa fosse capitato.
Gli fu risposto: È morta questa notte improvvisamente.
La mano di Dio l'aveva colpita. - Andiamo a vederla! - disse il Santo.
Accompagnato da altri, entrò nella camera dell'infelice e vide il cadavere disteso. Il Signore suole glorificare i suoi Santi con i miracoli e ispirò al suo fedele Servo di richiamare a vita la defunta.
San Francesco di Girolamo guardò con orrore il cadavere e poi con voce solenne esclamò: Caterina, in nome di Dio, alla presenza di costoro, dite dove siete! - Per virtù di Dio, si aprirono gli occhi del cadavere, le sue labbra si mossero convulse: Nell'Inferno... Io sono per sempre nell'Inferno! –
Chi è venuto dall'aldilà?
Viveva a Londra, nel 1848, una vedova di ventinove anni, molto ricca e assai mondana. Tra i damerini che frequentavano la sua casa, si notava un giovane Lord, di condotta poco edificante.
Una notte, verso le dodici, la donna stava a letto leggendo un romanzo per conciliare il sonno. Appena spenta la candela per addormentarsi, si accorse che una strana luce, proveniente dalla porta, si diffondeva nella camera, crescendo sempre più. Meravigliata, spalancò gli occhi non sapendo spiegarsi il fenomeno. La porta della camera si aprì lentamente ed apparve il giovane Lord, complice dei suoi disordini.
Prima che essa potesse proferire parola, il giovane le fu vicino, l'afferrò al polso e disse in inglese: «C'è un Inferno, dove si brucia!».
Il dolore che la poveretta sentì al polso fu tale che svenne. Rinvenuta mezz'ora dopo, chiamò la cameriera, la quale entrando nella stanza sentì un forte puzzo di bruciato. La cameriera constatò che la padrona aveva al polso una scottatura così profonda da lasciar vedere l'osso, avente la superficie di una mano di uomo. Osservò ancora che dalla porta il tappeto aveva le impronte di passi d'uomo e che ne era bruciato il tessuto da una parte all'altra.
Il giorno seguente la signora seppe che la stessa notte il giovane Lord era morto.
L'episodio è narrato da mons. Gastone De Sègur nel suo opuscolo sull'Inferno, il quale così chiude il suo dire: Non so se quella donna si sia convertita, ma so che vive ancora. Per coprire agli sguardi altrui le tracce della sua scottatura, porta al polso sinistro, in forma di braccialetto, una larga fascia d'oro, che non depone né giorno né notte, per cui viene chiamata «la signora del braccialetto».
Chi è venuto dall'aldilà?
(Vi è un Inferno e io vi sono dentro)
Il dotto e pio Mons. Gastone di Segur, nel suo noto opuscolo sull'Inferno, narra un episodio straordinario accaduto a Mosca poco prima dell'orribile campagna bellica del 1812.
- «Mio nonno materno, il conte Roctopchine, governatore militare di quella città, era in stretta relazione col generale conte Orloff, celebre per il suo valore, non meno che per la sua empietà. Una sera dopo cena, il conte Orloff e un suo amico, il generale V..., volterriano al pari di lui, si burlavano volgarmente della religione e soprattutto dell'Inferno.
- Ma pure - disse Orloff - e se vi fosse poi qualcosa al di là della tomba?
- Ebbene - riprese il generale..., - qualora così fosse, quello di noi due che morirà per primo verrà ad avvisare l'altro. Restiamo d'accordo?
- Benissimo - rispose Orloff...
Alcune settimane dopo scoppiò una terribile guerra, una di quelle tanto temute, quali Napoleone sapeva allora suscitare. L'esercito russo fu chiamato alle armi, e il gen. V..., ricevette l'ordine di partire immediatamente per prendervi una posizione importante. Erano trascorse due o tre settimane da che egli aveva lasciato Mosca, quando un mattino assai per tempo, mentre mio nonno stava alla toeletta, si vide all'improvviso aprire bruscamente la porta della stanza ed entrarvi il conte Orloff, in veste da camera, con i capelli irti, gli occhi stralunati, pallido come un cencio.
- Ecchè, Orloff ? Voi qui a quest'ora? In questa maniera? Che avete? Che cosa vi è accaduto?
- Mio caro - risponde Orloff - io credo d'impazzire: ho veduto il gen. V...
- Il gen. V...? E dunque arrivato?
- Oh no! - rispose Orloff gettandosi sopra un divano e prendendosi violentemente la testa fra le mani. - No, no, non è ritornato, ed è appunto questo che mi spaventa.
Mio nonno non capiva nulla e procurava di calmarlo.
- Raccontatemi dunque - disse - ciò che vi è capitato e che cosa significhi questo.
Allora sforzandosi di dominare la sua emozione, il conte Orloff racconta quanto segue: «Mio caro Roctopchine, non è trascorso ancora molto tempo da quando il gen. V... e io ci siamo giurati a vicenda che il primo che fosse morto di noi due, sarebbe venuto a dire all'altro se vi sia qualche cosa al di là della tomba. Ora questa mattina, mentre me ne stavo tranquillamente a letto, desto da lungo tempo, senza pensare affatto a lui, sento aprirsi le cortine del letto e mi vedo dinanzi, a due passi, il gen. V., diritto, pallido, con la destra al petto che mi dice: Vi è un Inferno e io ci sono dentro... Dopo di che scomparve. Sull'istante sono corso da voi: io perdo la testa.
Mio nonno prese a calmarlo come meglio poté, ma non fu facile; cercò di convincerlo di allucinazione, di fantasmi, tentò di fargli credere che forse dormiva..., che si danno talora casi straordinari che non si sanno spiegare...
Dieci o dodici giorni dopo, un messo dell'esercito annunziava a mio nonno, insieme alle altre notizie, la morte del gen. V... La mattina stessa di quel giorno memorando in cui il conte Orloff lo aveva veduto e sentito, all'ora stessa che egli era apparso in Mosca, l'infelice generale, uscito a esplorare la posizione del nemico, era stato trapassato da una palla di fucile ed era caduto fulminato» (De Segur G. - L'En fer - Parigi 1876).» -
Chi è venuto dall'aldilà?
Giuseppina Berettoni, anima privilegiata morta a Roma nel 1927, fu pregata dalla Presidente del Circolo delle Donne Cattoliche Carlotta Marchi, vedova Contestabile), a far visita a un suo nipote gravemente ammalato, ma purtroppo sprezzante di Dio e dei Sacramenti. Nel tardo pomeriggio del 31 maggio 1906 ella si presentò alla clinica e si trovò a colloquio con il Direttore, il quale con un sorriso canzonatorio le chiese: Lei deve essere una bizzoca che vuole convertirlo! Ma che? Non ci riuscirà, perché un tipo... - Poi cercò di licenziarla, ma essendo troppo tardi e non potendo ritornare a casa, Giuseppina si mostrò così persuasiva che il Direttore le concesse di rimanere, anzi le disse: «Veda, tutti i giorni io porto via questa chiave; ma ora la consegno a lei, così, dopo la visita all'infermo, potrà passare qui la notte; potrà riposare su quella poltrona».
Partito il professore rimase sola e si mise a recitare il rosario, poi si presentò al malato. Con serie riflessioni e intercalando segrete preghiere a Dio in brevi intervalli Giuseppina ottenne la conversione del giovane, il quale fece chiamare un Padre Cappuccino, si confessò e ricevette il Viatico e l'Estrema Unzione.
Ritiratasi nello studio del Direttore, Giuseppina si avvide che in angolo c'era uno scheletro umano, ritto, con tutte le sue ossa congiunte da fili metallici. Di chi sarà stato? E dove si troverà l'anima di costui? - si domandava. Ed ecco che all'improvviso quello scheletro riprende vita, si muove, parla e dice:
- Eccomi! Tu mi hai chiamato.
- Ma io non ti ho chiamato - risponde Giuseppina Berettoni, terrificata.
- Noi - riprende a dire lo scheletro - quantunque dannati, dobbiamo fare la volontà di Dio. Sappi che da 74 anni io sono dannato all'Inferno. Questo domani lo dirai al Direttore.
- Egli non mi crederà, come glielo posso provare? - Vedrà che non sto nella posizione in cui ero. - Questo non basta.
- Ne avrai la prova - e così dicendo lo scheletro torna nell'angolo da dove si era mosso, mettendosi in posizione alquanto diversa.
Il giorno seguente il Direttore si diresse al suo studio, desideroso di riprendere la conversazione.
- La scienza - disse a un certo punto - mi ha dimostrato molte cose. Io non credo ai miracoli!
- Ciò mi stupisce, essendo lei così erudito - rispose Giuseppina - Sappia che io ho visto dei miracoli e che io stessa sono stata guarita all'istante da una piaga al braccio; di questo lei può accertarsi all'ospedale S. Giacomo.
- Allora è lei che ha fatto bizzoco il Direttore di quell'ospedale?
- Può darsi che io vi abbia contribuito - rispose Giuseppina - Ma ora guardi là, - disse puntando il dito verso l'angolo - quello scheletro appartiene a uno che da 74 anni sta all'Inferno.
- Adesso lei vuole tenermi una seduta di spiritismo.
- Io non fo dello spiritismo, perché proibito dalla Chiesa; tuttavia glielo assicuro perché lo so.
-A questo punto lo scheletro cominciò a muoversi in direzione del professore. Questi spaventato e sconvolto, uscì dallo studio e si rifugiò in Cappella, con meraviglia delle Suore che mai prima di allora ve lo avevano visto entrare.
Due giorni dopo si recò a far visita a Giuseppina, ancora profondamente impressionato da quello strano evento. Ella lo incoraggiò e gli consigliò di recarsi a farsi un corso di esercizi spirituali a Genova.
Partì il 4 giugno. Pochi giorno dopo, nella notte tra l’11 e il 12, il professore si trovava nella sua camera, sveglio, scoraggiato e agitato. Improvvisamente gli si presenta Giuseppina.
- Cos'è? È possibile! Lei... com'è entrata qui?
- Colui che le fece quel favore - rispose Giuseppina - ha fatto che io venissi a consolarla, perché lei si trova in grande afflizione.
Era avvenuto un caso di bilocazione, non raro nella vita di Giuseppina Berettoni.
Terminata la sua missione, Giuseppina si ritrovò ne suo letto a Roma. Il 15 luglio il professore, accompagnato dal figlio maggiore, andò a far visita alla sua amica e benefattrice e si trattenne in colloqui per due ore. Il figlio del convertito, anche lui medico, vivamente impressionato dal cambiamento così avvenuto del padre, si diede lui pure a una vita seriamente cristiana. Entrò poi in un convento e volle per umiltà essere fratello laico.
(Antico P. - Giuseppina Berettoni - Centro Giuseppina Berettoni - Via S. Erasmo, 14 - Roma 1978).
Chi è venuto dall'aldilà?
(Maria Santissima a Fatima)
Il 13 maggio 1917 la Vergine Santissima appare a due ragazzine, Lucia di 11 anni e Giacinta di 7, e a un ragazzetto di 9 anni, Francesco, tre pastorelli semplici e buoni che recitavano sempre le preghiere.
Verso mezzogiorno, interrompendo i loro innocenti trastulli, i fanciulli recitarono come al solito il santo rosario. Dopo ritornarono ai loro giuochi. A un tratto un lampo li abbagliò. Spaventati guardarono il cielo: non v'era nemmeno una nube e il sole era splendente. Temendo qualche vicino temporale, radunano le pecore e si avviano per ritornare a casa. A metà della china, ecco un nuovo lampo più abbagliante del primo... Doppiamente atterriti affrettano il passo, ma un po' più avanti si fermano interdetti e attoniti per la meraviglia. Dinanzi a loro scorgono una bellissima Signora più splendente del sole.
Si svolse subito un piccolo dialogo tra la Signora e Lucia: «Di che paese siete?» domanda la ragazzina. - «Il mio paese è il Cielo» - rispose la Signora.
... Viene dal Cielo... dal Cielo... - rifletté Lucia: «allora mi sapreste dire se io andrò in Cielo?» - «Sì, vi
andrai» - rispose la Signora - «E mia cugina Giacinta?» - «Anche lei» - «E mio cugino Francesco?» - «Egli pure...» -.
Incoraggiata dalla bontà della Celeste Signora, Lucia volle sapere ancora la sorte di due ragazze, sue amiche e morte da poco e ne ebbe in risposta che la più giovane (di 16 anni) era già in Paradiso, l'altra (sui 20 anni) era in Purgatorio... -.
Nella terza apparizione del 13 luglio la Madonna mostrò ai tre fanciulli l'Inferno. Scrive Lucia: «Vedemmo come un mare di fuoco. Immersi in quel fuoco i diavoli e le anime, in forma umana, come brace trasparente e nera o bronzea, che fluttuavano nell'incendio e venivano trasportate, assieme a nuvole di fumo, dalle fiamme che uscivano da loro stesse. Esse cadevano da ogni parte, uguali al cadere delle scintille nei grandi incendi, senza peso né equilibrio tra grida e gemiti di dolore e disperazione che suscitavano orrore e facevano tremare di paura. I demoni si distinguevano per le forme orribili e schifose di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti come neri carboni roventi».
Spaventati e come per chiedere aiuto, alzammo gli occhi alla Madonna, che ci disse con bontà e tristezza: «Avete visto l'Inferno dove cadono le anime dei poveri peccatori!… ».
Chi è venuto dall'aldilà?
Nella Casa Provinciale dei Preti della Missione, in Via dei Vergini 51 a Napoli, si conserva, visibile al pubblico, un quadro rappresentante Gesù Crocifisso in carta incollata su tela, incorniciata da un piccolo telaio di legno. Lo straordinario sta nel fatto che porta nella parte inferiore le impronte di due mani incise a fuoco. Qual è l'origine di quelle impronte?
In Firenze un giovane aveva una relazione disonesta con una donna sposata. Il padre del giovane ne era dolente e più volte aveva rimproverato il figlio, anzi aveva pregato i Padri Lazzaristi Missionari di Firenze per richiamarlo al dovere, ma inutilmente. Un'improvvisa malattia colpì la donna e in pochi giorni le aprì la tomba. Il giovane fu sul unto d'impazzire per il dolore e il padre, approfittano di un corso di esercizi spirituali che si tenevano nella Casa dei Missionari in S. Iacopo SoprArno, invitò il figlio a parteciparvi. Costui vi andò e fu accolto con cordialità.
La sera del primo giorno di esercizi, mentre gli altri esercitandi sono scesi a refettorio per la cena, il nostro giovane manca al suo posto. Avrà preso sonno?, pensa il direttore, e va alla sua camera, bussa, senza ricevere risposta, bussa ancora, nulla. Apre e trova la camera piena di fumo che subito lo investe. Pensa a un incendio e chiede aiuto. Accorrono diversi confratelli e, attraverso il fumo in parte dileguato per la porta lasciata aperta, scorgono il giovane disteso sul pavimento e senza segni di vita. Trasportatolo sul letto e apprestate le cure necessarie, riescono a farlo rinvenire. Il direttore cerca per la camera la causa del supposto incendio e con grande meraviglia s'imbatte sull'inginocchiatoio bruciato in quattro parti, cioè là dove si appoggiano le ginocchia e i gomiti, e vede nel quadro del Crocifisso le impronte di mani infuocate come fossero state di ferro rovente. Non si rende conto dell'accaduto finché il giovane, rinvenuto, non gli ha spiegato come poco prima della cena, mentre stava ancora in camera, gli era apparsa l'amante tutta di fuoco. – E’ per causa tua - gli aveva gridato minacciosa - che sono all'inferno! Stà bene in guardia. Dio ha voluto che io te ne dessi l'avviso; e perché tu non abbia a dubitare della realtà della mia apparizione, te ne lascio il segno. - Inginocchiatasi al genuflessorio e toccato il quadro vi lascia le impronte di fuoco che ora si vedono. Il giovane si converte. Essendo le due famiglie molto conosciute in Firenze, il Superiore, per riguardo al loro onore, cercò di occultare il fatto. Il Padre Scaramelli, Superiore della Casa, tenne presso di sé il quadro e il genuflessorio, finché chiamato all'ubbidienza a Napoli portò con sé il quadro, lasciandolo alla Casa in Via dei Vergini.
Così è narrato nel «Petit Pré spir. De la Congr. de la Mission (Parigi 1880)».
Una narrazione più breve si trova nella vita di S. Alfonso de'Liguori scritta dal Tannoia. Il quadro si conserva a Napoli; l'inginocchiatoio fu fatto scomparire. Sull'episodio il Padre Mario Sorrentino condusse uno studio critico (Annali della Missione, 1962), arrivando a questa conclusione: «Pensiamo di poter affermare la verità del fatto come viene comunemente narrato».
Chi è venuto dall'aldilà?
Domenico Savio
San Domenico Savio, alunno salesiano morto nel 1857 e santificato nel 1954, dopo la sua morte apparve a San Giovanni Bosco. Questi narrava così l'apparizione ai suoi giovani e ai Superiori della Congregazione: «Mi trovavo a Lanzo ed ero nella mia stanza. D'un tratto mi vidi sopra una collina. Il mio sguardo si perdeva nell'immensità di una pianura. Essa era divisa da larghi viali in vastissimi giardini. I fiori, gli alberi, i frutti erano bellissimi, e tutto il resto corrispondeva a tanta magnificenza.
Mentre contemplavo tanta bellezza, ecco diffondersi una musica soavissima. Erano centomila strumenti e tutti davano un suono differente l'uno dall'altro. A questi si univano i cori dei cantori.
Mentre estatico ascoltavo la celeste armonia, ecco apparire una quantità immensa di giovani che veniva verso di me. Alla testa di tutti avanzava Domenico Savio. Tutti si fermarono davanti a me alla distanza di otto-dieci passi... Allora brillò un lampo di luce, cessò la musica e si fece un grande silenzio. Domenico Savio si avanzò solo di qualche passo ancora e si fermò vicino a me. Come era bellissimo! Le sue vesti erano singolari; la tunica bianchissima, che gli scendeva fino ai piedi, era trapuntata di diamanti ed era intessuta d'oro. Un'ampia fascia rossa cingeva i suoi fianchi, ricamata di gemme preziose così che una toccava quasi l'altra. Dal collo gli scendeva una collana di fiori mai visti, sembrava che fossero diamanti uniti. Questi fiori risplendevano di luce. Il capo era cinto di una corona di rose. La capigliatura gli scendeva ondeggiante giù per le spalle e gli dava un aspetto così bello, così affettuoso, così attraente che sembrava... sembrava un Angelo.
Io ero muto e tremante. Allora Domenico Savio disse:
- Perché te ne stai muto e sgomento?
- Non so cosa dire - risposi - Tu dunque sei Domenico Savio?
- Sono io! Non mi riconosci più? - E come va che ti trovi qui?
- Sono venuto per parlarti. Fammi qualche interrogazione.
- Sono naturali tutte queste meraviglie che vedo? - Sì, abbellite però dalla potenza di Dio.
- A me sembrava che questo fosse il Paradiso! - No, no!Nessun occhio mortale può vedere le bellezze eterne.
- E voi dunque cosa godete in Paradiso?
- Dirtelo è impossibile. Quello che si gode in Paradiso non vi è uomo mortale che possa saperlo, finché non sia uscito di vita e riunito al suo Creatore.
- Orbene, mio caro Savio, dimmi quale cosa ti consolò di più in punto di morte?
- Ciò che mi confortò di più in punto di morte fu l'assistenza della potente e amabile Madre del Salvatore, Maria Santissima. E questo dillo ai tuoi giovani: che non dimentichino di pregarla finché sono in vita!». (Vita di S. Giovanni Bosco - Lemoyne).
Chi è venuto dall'aldilà?
Un Sacerdote mi diceva: Sono vecchio. Ho viaggiato in Europa, in Asia e in Africa. Ho conosciuto tanti Religiosi e Prelati. Ma l'uomo più santo che io abbia avvicinato è stato Mons. Marengo, il Vescovo della Diocesi di Carrara. Per il molto lavoro a bene del prossimo forse abbreviò i suoi giorni ed il 22 ottobre 1921 moriva, compianto dai fedeli e chiamato «santo» innanzi tempo.
Erano trascorsi sette anni e il Rev.mo Don Fascie, membro del Capitolo Superiore dei Salesiani, venuto a Trapani nel 1929, così mi narrava:
«Si è verificato in questi ultimi mesi un'apparizione di Mons. Marengo. Nell'Istituto delle Figlie Maria Ausiliatrice, a Nizza, verso l'imbrunire, la Suora portinaia era nel cortile. Il portone era chiuso. Con sua meraviglia vide sotto i portici, a passeggiare, un Reverendo, slanciato nella persona, ma col capo chino e meditabondo.
- Ma chi sarà costui? - si domandò la Suora. - E come sarà entrato, se il portone è chiuso? L'avvicinò e riconobbe Mons. Marengo. - Eccellenza, e voi qui?... Non siete morto?... -
- Mi avete lasciato in Purgatorio!... Ho lavorato tanto per questo Istituto e non si prega più per me! - In Purgatorio?... Un Vescovo così santo?... - Non basta essere santi davanti agli uomini; bisogna essere tali davanti a Dio!... Pregate per me!... - Ciò detto, sparì.
La Suora corse ad informare la Direttrice e l'indomani tutte e due si diressero alla volta di Torino per narrare il fatto al Rettor Maggiore dei Salesiani, Don Filippo Rinaldi, oggi Servo di Dio.
Don Rinaldi indisse pubbliche preghiere nel Santuario di Maria Ausiliatrice, onde intensificare i suffragi. Dopo una settimana Mons. Marengo riapparve nello stesso Istituto, dicendo: Sono uscito dal Purgatorio!. Ringrazio della carità!.. Prego per voi!
(Dal libretto «I nostri morti» di Don Giuseppe Tomaselli).
Chi è venuto dall'aldilà?
In una nobile famiglia cattolica del Belgio... un bambino di circa sette anni era moribondo. La madre addoloratissima se ne stava presso il letto, aspettando l'ultimo respiro del figlio. Era il 7 febbraio 1878 alle 5 e tre quarti pomeridiane, al tocco dell’Ave Maria. A un tratto il bambino si anima, si solleva, fissa gli occhi al cielo e stende le braccia esclamando: Mamma, che vedo! - Che cosa vedi, figlio mio? - disse la madre. - Pio IX che va su su! Oh quanto è bello! Tutto luminoso! -
La signora credendo che il bambino delirasse procurava di calmarlo, ma un istante dopo il bambino esclamava di nuovo: Oh mamma, che bella cosa! La Madonna quanto è bella e sorridente! Ha una corona preziosa in mano. Ecco va incontro a Pio IX, gli pone la corona sul capo. -
Dopo essere rimasto un istante a contemplare così giocondo spettacolo, il bambino volgendosi alla madre, che era rimasta sbalordita, le disse: Mamma, sono guarito. La Madonna e Pio IX mi hanno benedetto e guarito.
Il bambino era guarito difatti e pieno di vigore. La pia signora che ignorava lo stato allarmante della salute del Pontefice, fuori di sé dallo stupore, mandò un domestico all'ufficio del telegrafo per chiedere se si avessero notizie da Roma. Purtroppo fu risposto: È giunto pocanzi un dispaccio il quale dà l'infausta notizia che il Santo Padre è spirato alle 5 e tre quarti pomeridiane. (Dai Processi di beatificazione del Servio di Dio Pio
IX).
Chi è venuto dall'aldilà?
Interessante è il fatto avvenuto nel 1946 nella persona dell'ingegnere Enzo Crozza, domiciliato a Torino, in via Ilarione Petitti, 34.
Quest'ingegnere, ammalatosi nel 1942, si era fatto assistere in famiglia nelle ore notturne da una Suora del Cottolengo, certa SuorAngela Curti. Nel 1944 la Suora moriva nel Cottolengo. L'ingegnere non ne sapeva nulla.
Il Signor Crozza fu operato di appendicite nella sua abitazione nel 1946 e, memore delle delicate cure di Suor Angela Curti, mandò la moglie al Cottolengo per invitarla a venire ad assisterlo. Mentre la moglie faceva le scale, incontrò la Suora.
E voi, qui?... Venivo proprio in cerca di voi! - Ho saputo che vostro marito sta male e son venuta a curarlo! -
Per quindici notti consecutive Suor Angela vegliò al capezzale dell'ingegnere. Veniva la sera e partiva al mattino. Finita la sua missione, si licenziò senza chiedere alcun compenso.
Quando il Signor Crozza si ristabilì discretamente, andò al Cottolengo con la moglie per ringraziare ancora una volta la Suora. Quale non fu la sua meraviglia a sentirsi dire: Cercate di Suor Angela?... Ma da due anni è al cimitero!... È morta qui! - Eppure la Suora che mi assisteva era lei, in carne e ossa! E non sono io solo a constatare il fatto, ma tutta la famiglia!... -
Come spiegare questo avvenimento? O Suor Angela era entrata in Paradiso e veniva in aiuto a persona cara, oppure era in Purgatorio e il Signore le permetteva di compiere ancora qualche atto di carità.
Chi è venuto dall'aldilà?
Un miracolato dalla Beata Assunta Pallotta (+1905) depose:
«Da circa otto mesi me ne stavo a letto per paralisi... Mi raccomandavo a tanti Santi del Paradiso, ma avevo una particolare devozione per la Serva di Dio Maria Assunta Pallotta.
Una sera, non posso precisare, ma mi pare nel maggio o giugno del 1923, verso le ore otto, standomi io bene sveglio nel mio letto, sentii bussare alla porta della camera. Credendo che fosse qualcuno di casa, dissi: Avanti, chi è? - Sentii una voce che mi disse: Sono io, Leoni. -
Contemporaneamente vidi spalancarsi la porta e comparirmi dinanzi la figura di Suor Maria Assunta Pallotta nel suo candido abito monacale, cinta il capo di una corona di fiorellini bianchi.
La Serva di Dio introdusse il discorso: Come stai, Leoni? - Risposi: Male! Son tanti mesi che sono qui inchiodato in questo letto. - La Serva di Dio riprese: Procura di alzarti. - Ed io: Non posso alzarmi. - Ma provaci, che Dio ti ha fatto la grazia. Tu però hai un brutto vizio: bestemmi un po' troppo. - E poiché io volevo scusarmi allegando l’abitudine e le circostanze, lei conchiuse: Bisogna correggersi! - (E difatti ho cercato di correggermi). Ciò detto si ritrasse chiudendo la porta e scomparve.
Allora io provai subito ad alzarmi, e difatti potei scendere dal letto e affacciarmi alla finestra. Mi pareva di essere rinato.
Il giorno appresso mi alzai, uscii per il paese con meraviglia di tutti. L'indomani potei recarmi in campagna al mio roccolo, alla distanza di due chilometri.
Da quel giorno cammino sempre con relativa speditezza e facilità.
Il Parroco ne fece un referto. Il medico curante, Dott. Guerriero Consorti, era partito da Force poco tempo avanti la mia guarigione per assumere la direzione dell'Ospedale di Ancona.
(Dai Processi di beatificazione della Serva di Dio Maria Assunta Pallotta).
Chi è venuto dall'aldilà?
Verso l'autunno del 1917 si trovava in quel tempo a S. Giovanni Rotondo (Foggia) la sorella di Padre Paolino, superiore del convento dei Cappuccini, Assunta di Tommaso, la quale era venuta a visitare il fratello e dormiva nella foresteria.
Una sera, dopo cena, Padre Pio e Padre Paolino andarono a salutare la sorella, che si tratteneva vicino al focolare. Quando furono colà Padre Paolino disse: P. Pio, tu puoi restare qui vicino al fuoco, mentre noi andiamo un po' in chiesa a recitare le preghiere. -
Padre Pio, che era stanco, si mise a sedere sul lettino con la solita corona in mano, quando viene preso da una sonnolenza che subito gli passa, apre gli occhi e vede un vecchio avvolto in un piccolo cappotto che stava seduto vicino al fuoco. Padre Pio, al vedere costui, dice: Oh! Tu chi sei? e che cosa fai? - Il vecchio risponde: Io sono..., sono morto bruciato in questo convento (nella stanza n. 4, come mi raccontava don Teodoro Vincitore...) e sto qua per scontare il mio purgatorio per questa mia colpa...
Padre Pio promise che il giorno dopo avrebbe applicato la Messa per lui e che non si facesse più vedere là. Poi l'accompagnò fino all'albero (l'olmo che esiste ancor oggi) e là lo licenziò.
Padre Paolino lo vide per più di un giorno un po' timoroso, e gli domandava che cosa gli fosse accaduto quella sera. Egli rispondeva che si sentiva poco bene. Finalmente un giorno confessò tutto. Allora Padre Paolino andò al Comune (anagrafe) ed effettivamente trovò nei registri che nel convento era morto bruciato nell'anno x un vecchio di nome Di Mauro Pietro (1831-1908). Tutto corrispondeva a quanto aveva detto Padre Pio. Da allora il morto non comparve più.
(P. Alessandro da Ripabottoni - P. Pio da Pietralcina - Centro culturale francescano, Foggia, 1974, pp. 588-589).
Chi è venuto dall'aldilà?
Nel suo libretto «I nostri morti - La casa di tutti» il salesiano Don Giuseppe Tomaselli scrive quanto segue: «Il 3 febbraio 1944, moriva una vecchietta, prossima agli ottant'anni. Era mia madre. Potei contemplare il suo cadavere nella Cappella del cimitero, prima della sepoltura. Da Sacerdote allora pensai: Tu, o donna, da quando io posso giudicare, non hai mai violato gravemente un solo comandamento di Dio! E riandai col pensiero alla sua vita.
In realtà mia madre era di grande esemplarità e devo a lei in gran parte la mia vocazione sacerdotale. Ogni giorno andava a Messa, anche nella vecchiaia, con la corona dei suoi figli. La Comunione era quotidiana. Mai tralasciava il Rosario. Caritatevole, sino a perdere un occhio mentre compiva un atto di squisita carità verso una povera donna. Uniformata ai voleri di Dio, tanto da chiedermi quando mio padre era disteso cadavere in casa: Che cosa posso dire a Gesù in questi momenti per fargli piacere? - Ripeta: Signore, sia fatta la tua volontà! -
Sul letto di morte ricevette gli ultimi Sacramenti con viva fede. Poche ore prima di spirare, soffrendo troppo, ripeteva: O Gesù, vorrei pregarti di diminuire le mie sofferenze! Però non voglio oppormi ai tuoi voleri; fa' la tua volontà!... - Così moriva quella donna che mi portò al mondo.
Basandomi sul concetto della Divina Giustizia, poco curandomi degli elogi che potessero fare i conoscenti e gli stessi Sacerdoti, intensificai i suffragi. Gran numero di Sante Messe, abbondante carità e, ovunque predicavo, esortavo i fedeli a offrire Comunioni, preghiere e opere buone in suffragio. Iddio permise che la mamma apparisse. Da due anni e mezzo mia madre era morta, ecco all'improvviso apparire nella stanza, sotto sembianze umane. Era triste assai.
- Mi avete lasciata nel Purgatorio!... - Siete stata sinora in Purgatorio? -
- E ci sono ancora!.. L'anima mia è circondata da oscurità e non posso vedere la Luce, che è Dio... Sono alla soglia del Paradiso, vicino al gaudio eterno, e spasimo dal desiderio di entrarvi; ma non posso! Quante volte ho detto: Se i miei figli conoscessero il mio terribile tormento, ah, come verrebbero in mio aiuto!...
- E perché non veniste prima ad avvisare? - Non era in mio potere. -
- Ancora non avete visto il Signore? -
- Appena spirata, ho visto Dio, ma non in tutta la sua luce. -
- Cosa possiamo fare per liberarvi subito? -
- Ho bisogno di una sola Messa. Dio mi ha permesso di venirla a chiedere. -
- Appena entrate in Paradiso, ritornate qui a darmi notizia! -
- Se il Signore lo permetterà!... Che luce... che splendore!... - così dicendo la visione si dileguò. Si celebrarono due Messe e dopo un giorno riapparve, dicendo: Sono entrata in Paradiso! -.
Chi è venuto dall'aldilà?
Una devota di S. Gemma Galgani depose:
«Nel 1906, da circa dieci mesi ero sofferente di forte dolore al capo, nel quale sentivo come tanti carboni accesi, in maniera che mi sembrava che mi bollisse il cervello; mi si bruciò anche tutta la bocca, in maniera che non potevo mangiare e dovevo contentarmi soltanto di bevande diacce, e qualche volta anche d un po' di minestra, ma diaccia. Il dottor Lippi Castruccio mi fece quattordici visite, e dopo aver sperimentato molti mezzi per farmi guarire, alla fine mi disse: Carina mia, se fosse una rapa o una mela potrei spaccarla e vedere quello che c'è dentro; ma io non so più cosa farti; rassegnati alla volontà di Dio. - Allora io, alzando gli occhi al Cielo e con le mani giunte, dissi: Gemma, se è vero che tu sei in Paradiso, dammi questo segno, fammi la grazia, guariscimi. Detto così, mi sentii guarita all'istante.
Avevo promesso a Gemma che se avessi ottenuto la grazia della guarigione, l'avrei pubblicata immediatamente in suo onore. Però non la pubblicai subito perché volevo accertarmi se me l'aveva fatta completa. Non ho avuto più nulla e ho ripreso i miei sonni e le mie abitudini senza sentire mai più il minimo dolore di capo, e già sono passati sedici anni dalla grazia ricevuta.
Il medico aveva diagnosticato che la mia malattia fosse una meningite progressiva e tanto grave che ritrovandomi un giorno per la strada, meravigliato nel vedermi, disse: Oh che fai? Ti credevo nella tomba. Grazia speciale!
Il Padre Germano; direttore spirituale di S. Gemma, nei processi per la beatificazione della medesima (nei quali è contenuta la relazione del miracolo), fa questa precisazione: Dall'inizio della malattia, dicembre 1906, ai primi di ottobre dell'anno successivo non potè mai dormire più di un'ora circa il giorno.
Questa è la pura verità - attestò la miracolata nel certificato che rilasciò al medesimo Padre - e la confermo con giuramento, io Isolina Serafini.
(Dai Processi di beatificazione della Serva di Dio Gemma Galgani).
Chi è venuto dall’aldilà?
Clara e Annetta
INVITO
Il fatto qui esposto ha un'importanza eccezionale. L'originale è in lingua tedesca; delle edizioni sono state eseguite in altre lingue.
Il Vicariato di Roma ha dato il permesso di pubblicare lo scritto. L' « Imprimatur» dell'Urbe è garanzia della traduzione dal tedesco e della serietà del tremendo episodio.
Sono pagine svelte e terribili e raccontano un tenore di vita in cui vivono molte persone dell'odierna società. La misericordia di Dio, permettendo il fatto qui narrato, solleva il velo del più spaventoso mistero che ci attende al termine della vita.
Ne sapranno approfittare le anime?...
PREMESSA
Clara e Annetta, giovanissime, lavoravano in una Ditta commerciale a*** (Germania).
Non erano legate da profonda amicizia, ma da semplice cortesia. Lavoravano ogni giorno l'una accanto all'altra e non poteva mancare uno scambio di idee. Clara sì dichiarava apertamente religiosa e sentiva il dovere di istruire e richiamare Annetta, quando questa si dimostrava leggera e superficiale in fatto di religione.
Trascorsero qualche tempo assieme; poi Annetta contrasse matrimonio e si allontanò gialla Ditta. Nell'autunno di quell'anno, 1937, Clara trascorreva le vacanze in riva al lago di Garda. Verso la metà di settembre la mamma le mandò dal paese natio una lettera: « E' morta Annetta N... E' rimasta vittima di un incidente automobilistico. L'hanno sepolta ieri nel "Waldfriedhof" ».
La notizia spaventò la buona signorina, sapendo che l'amica non era stata tanto religiosa. Era preparata a presentarsi davanti a Dio?... Morendo all'improvviso, come si sarà trovata?...
L’indomani ascoltò la S. Messa e fece anche la Comunione in suo suffragio, pregando fervorosamente. La notte seguente, 10 minuti dopo la mezzanotte, ebbe luogo la visione...
« Clara, non pregare per me! Sono dannata. Se te lo comunico e te ne riferisco piuttosto lungamente, non credere che ciò avvenga a titolo di amicizia. Noi qui non amiamo più nessuno. Lo faccio come costretta. Lo faccio come « parte di quella potenza che sempre vuole il male e opera il bene ».
In verità vorrei vedere anche te approdare a questo stato, dove io ormai ho gettato l'àncora per sempre.
Non stizzirti di questa intenzione. Qui, noi pensiamo tutti così. La nostra volontà è impietrita nel male - in ciò che voi appunto chiamate « male ». - Anche quando noi facciamo qualche cosa di «bene», come io ora, spalancandoti gli occhi sull'inferno, questo non avviene con buona intenzione.
Ti ricordi ancora che quattro anni fa ci siamo conosciute a ***? Contavi allora 23 anni e ti trovavi colà già da mezz'anno quando ci arrivai io.
Tu mi hai levata da qualche impiccio; come a principiante, mi hai dato dei buoni indirizzi. Ma che vuol dire « buono » ?
Io lodavo allora il tuo « amore del prossimo ». Ridicolo! Il tuo soccorso derivava da pura civetteria, come, del resto, lo sospettavo già fin d'allora. Noi non riconosciamo qui nulla di buono. In nessuno.
Il tempo della mia giovinezza lo conosci. Certe lacune le riempio qui.
Secondo il piano dei miei genitori, a dire il vero, non sarei neanche dovuta esistere. «Capitò loro appunto una disgrazia». Le mie due sorelle contavano già 14 e 15 anni, quando io tendevo alla luce.
Non fossi mai esistita! Potessi ora annientarmi e sfuggire a questi tormenti! Nessuna voluttà uguaglierebbe quella con cui lascerei la mia esistenza, come un vestito di cenere, che si perde nel nulla.
Ma io devo esistere. Devo esistere così come mi son fatta io: con una esistenza fallita.
Quando papà e mamma, ancora giovani, si trasferirono dalla, campagna in città ambedue avevano perduto il contatto con la Chiesa. E fu meglio così.
Simpatizzarono con gente non legata alla chiesa. Si erano conosciuti in un ritrovo danzante e mezz'anno dopo « dovettero » sposarsi.
Nella cerimonia nuziale rimase attaccata a loro tant'acqua santa, che la mamma si recava in chiesa alla Messa domenicale un paio di volte l'anno. Non mi ha mai insegnato a pregare davvero. Si esauriva nella cura quotidiana della vita, benché la nostra situazione non fosse disagiata.
Parole, come pregare, Messa, istruzione religiosa, chiesa, le dico con una ripugnanza interna senza pari. Aborrisco tutto questo, come odio chi frequenta la chiesa, e in genere tutti gli uomini e tutte le cose.
Da tutto, infatti, ci deriva tormento. Ogni cognizione ricevuta in punto di morte, ogni ricordo di cose vissute o sapute, è per noi una fiamma pungente.
E tutti i ricordi ci mostrano quel lato che in essi era grazia e che noi sprezzammo. Quale tormento è questo! Noi non mangiamo, non dormiamo, non camminiamo coi piedi. Spiritualmente incatenati, guardiamo inebetiti « con urla e stridor di denti » la nostra vita andata in fumo: odiando e tormentati!
Senti? Noi qui beviamo l'odio come acqua. Anche l'uno verso l'altro. Soprattutto noi odiamo Dio.
I Beati in cielo devono amarlo, perché essi lo vedono senza velo, nella sua bellezza abbagliante. Ciò li beatifica, talmente, da non poterlo descrivere. Noi lo sappiamo e questa cognizione ci rende furibondi.
Gli uomini in terra che conoscono Dio dalla creazione e dalla rivelazione, possono amarlo; ma non ne sono costretti.
Il credente - lo dico digrignando i denti - il quale, meditabondo, contempla Cristo in croce, con le braccia stese, finirà con l'amarlo.
Ma colui al quale Dio si avvicina solo nell'uragano, come punitore, come giusto vendicatore, perché un giorno fu da lui ripudiato, come avvenne di noi, costui non può che odiarlo, con tutto l'impeto della sua malvagia volontà, eternamente, in forza della libera accettazione di esseri separati da Dio: risoluzione con la quale, morendo, abbiamo esalato l'anima nostra e che neppure ora ritiriamo e non avremo mai la volontà di ritirare. Comprendi ora perché l'inferno dura eternamente? Perché la nostra ostinazione giammai si scioglierà da noi. Costretta, aggiungo che Dio è misericordioso persino verso di noi. Dico « costretta ». Poiché, anche se dico queste cose volutamente, pure non mi è permesso di mentire, come volentieri vorrei. Molte cose le affermo contro la mia volontà. Anche la foga d'improperi, che vorrei vomitare la devo strozzare.
Dio fu misericordioso verso di noi col non lasciare esaurire sulla terra la nostra malvagia volontà, come noi saremmo stati pronti a fare. Ciò avrebbe aumentato le nostre colpe e le nostre pene. Egli ci fece morire anzitempo, come me, o fece intervenire altre circostanze mitiganti.
Ora egli si dimostra misericordioso verso di noi col non costringerci ad avvicinarci a lui più di quanto lo siamo in questo remoto luogo infernale; ciò diminuisce il tormento.
Ogni passo che mi portasse più vicino a Dio, mi cagionerebbe una pena maggiore di quella che a te recherebbe un passo più vicino a un rogo ardente.
Ti sei spaventata, quando io una volta, durante il passeggio; ti raccontai che mio padre, pochi giorni avanti la mia prima Comunione, mi aveva detto: « Annettine, cerca di meritarti un bel vestitino; il resto è una montatura ».
Per il tuo spavento quasi mi sarei perfino vergognata. Ora ci rido sopra. L'unica cosa ragionevole in quella montatura era che ci si ammetteva alla Comunione solo a dodici anni. Io allora, ero già abbastanza presa dalla mania dei divertimenti mondani, così che senza scrupoli mettevo in un canto le cose religiose e non diedi grande importanza alla prima Comunione.
Che parecchi bambini vadano ora alla Comunione già a sette anni, ci mette in furore. Noi facciamo di tutto per dare a intendere alla gente che ai bambini manca una cognizione adeguata. Essi devono prima commettere alcuni peccati mortali. Allora la bianca Particola non fa più in essi così gran danno, come quando nei loro cuori vivono ancora la fede, la speranza. e la carità - puh! questa roba - ricevute nel battesimo. Ti ricordi come abbia già sostenuto sulla terra questa opinione?
Ho accennato a mio padre. Egli era sovente in lite con la mamma. Te ne feci allusione solo raramente; me ne vergognavo. Cosa ridicola la vergogna del male! Per noi, qui tutto è lo stesso.
I miei genitori neanche dormivano più nella medesima camera; ma io con la mamma, e il papà nella camera attigua, dove poteva rincasare liberamente a qualsiasi ora. Beveva molto; in tal modo scialacquava il nostro patrimonio. Le mie sorelle erano ambedue impiegate e abbisognavano esse stesse, dicevano, del denaro che guadagnavano. La mamma cominciò a lavorare per guadagnare qualche cosa.
Nell'ultimo anno di vita papà batteva spesso la mamma, quando lei non gli voleva dar nulla. Verso di me, invece, fu, sempre amorevole. Un giorno - te l'ho raccontato e tu, allora, ti sei urtata del mio capriccio (di che cosa non ti sei urtata nei miei riguardi?) - un giorno dovette portare indietro, per ben due volte, le scarpe comprate, perchè la forma e i tacchi non erano per me abbastanza moderni.
La notte, in cui mio padre fu colpito da apoplessia mortale, avvenne qualche cosa che io, per timore di una interpretazione disgustosa, non riuscii mai a confidarti. Ma ora devi saperlo. E' importante per questo: allora per la prima volta fui assalita dal mio spirito tormentatore attuale.
Dormivo in camera con mia madre. I suoi respiri regolari dicevano il suo profondo sonno.
Quand'ecco mi sento chiamare per nome. Una voce ignota mi dice: « Che sarà se muore papà? ».
Non amavo più mio padre, dacché trattava così villanamente la mamma; come, del resto, non amavo fin d'allora assolutamente nessuno, ma ero solamente affezionata ad alcune persone, che erano buone verso di me. L'amore senza speranza di contraccambio terreno, vive solo nelle anime in stato di Grazia. E io non lo ero.
Così risposi alla misteriosa domanda, senza darmi conto donde venisse: «Ma non muore mica!».
Dopo una breve pausa, di nuovo la stessa domanda chiaramente percepita. « Ma non muore mica! » mi scappò ancora di bocca, bruscamente.
Per la terza volta fui richiesta: «Che sarà se muore tuo padre? ». Mi si presentò alla mente come papà spesso veniva a casa piuttosto ubriaco, strepitava, maltrattava la mamma, e come egli ci aveva messi in una condizione umiliante dinanzi alla gente. Perciò gridai indispettita: « E gli sta bene! ». Allora tutto tacque.
La mattina seguente, quando la mamma volle mettere in ordine la stanza del babbo, trovò la porta chiusa a chiave. Verso mezzogiorno si forzò la porta. Mio padre, mezzo vestito, giaceva cadavere sul letto. Nell'andare a prendere la birra in cantina, doveva essersi buscato qualche accidente. Era già da lungo tempo malaticcio. (*)
(*) Aveva forse Dio legato la salvezza del padre all'opera buona della figlia, verso la quale quell'uomo era stato pur buono? Quale responsabilità per ognuno, lasciar perdere l'occasione di fare del bene al prossimo!
Marta K... e tu mi avete indotta a entrare nell'« Associazione delle Giovani ». Veramente non ho mai nascosto che trovavo abbastanza intonate con la moda parrocchiale le istruzioni delle due direttrici, le signorine X...
I giuochi erano divertenti. Come sai vi ebbi subito una parte direttiva. Ciò mi andava a genio.
Anche le gite mi piacevano. Mi lasciai perfino indurre alcune volte ad andare alla Confessione e alla Comunione.
A dire il vero, non avevo nulla da confessare. Pensieri e discorsi per me non avevano importanza. Per azioni più grossolane, non ero ancora abbastanza corrotta.
Tu mi ammonisti una volta: « Anna, se non preghi, vai alla perdizione! ».
Io pregavo davvero poco e anche questo, solo svogliatamente.
Allora tu avevi purtroppo ragione. Tutti coloro che bruciano nell'inferno non hanno pregato, o non hanno pregato abbastanza.
La preghiera è il primo passo verso Dio. E rimane il passo decisivo. Specialmente la preghiera a colei che fu la Madre di Cristo, il nome della quale noi non nominiamo mai.
La devozione a lei strappa al demonio innumerevoli anime, che il peccato gli consegnerebbe infallibilmente nelle mani. Proseguo il racconto consumandomi d'ira e solo perché devo. Pregare è la cosa più facile che l'uomo possa fare sulla terra. E proprio a questa cosa facilissima Dio ha legato la salvezza di ognuno.
A chi prega con perseveranza egli a poco a poco dà tanta luce, lo fortifica in maniera tale, che alla fine anche il peccatore più impantanato si può definitivamente rialzare. Fosse pure ingolfato nella melma fino al collo.
Negli ultimi anni della mia vita non ho più pregato come di dovere e così mi sono privata delle grazie, senza le quali nessuno può salvarsi.
Qui non riceviamo più nessuna grazia. Anzi, quand'anche le ricevessimo, le rifiuteremmo cinicamente. Tutte le fluttuazioni dell'esistenza terrena sono cessate in quest'altra vita.
Da voi sulla terra l'uomo può salire dallo stato di peccato allo stato di Grazia e dalla Grazia cadere in peccato: spesso per debolezza, talvolta per malizia. Con la morte questo salire e scendere finisce, perchè ha la sua radice nella imperfezione dell'uomo terreno. Ormai abbiamo raggiunto lo stato finale.
Già col crescere degli anni i cambiamenti divengono più rari. E' vero, fino alla morte si può sempre rivolgersi a Dio o voltargli le spalle. Eppure, quasi trascinato dalla corrente, l'uomo, prima del trapasso, con gli ultimi deboli resti nella volontà, si comporta come era abituato in vita.
La consuetudine, buona o cattiva, diviene una seconda natura. Questa lo trascina con sé.
Così avvenne anche a me. Da anni vivevo lontana da Dio. Per questo nell'ultima chiamata della Grazia mi risolvetti contro Dio.
Non fu il fatto che peccassi spesso a esser fatale per me, ma che io non volli più risorgere.
Tu mi hai più volte ammonita di ascoltare le prediche, di leggere libri di pietà. « Non ho tempo », era la mia risposta ordinaria. Non ci mancava altro per aumentare la mia incertezza interna!
Del resto devo constatare questo: dal momento che la cosa era ormai così avanzata, poco prima della mia uscita dall'«Associazione delle Giovani», mi sarebbe riuscito enormemente gravoso mettermi su un'altra via. Io mi sentivo malsicura e infelice. Ma davanti alla conversione si ergeva una muraglia.
Tu non lo devi aver sospettato. Tu te l'eri rappresentata così semplice quando un giorno mi dicesti: « Ma fa una buona Confesione, Anna, e tutto è a posto ».
Io sentivo che sarebbe stato così. Ma il mondo, il demonio, la carne mi tenevano già troppo saldamente nei loro artigli.
All'influsso del demonio non credetti mai. E ora attesto che egli influisce gagliardamente sulle persone che si trovano nella condizione in cui mi trovavo io allora.
Soltanto molte preghiere, di altri e di me stessa, congiunte con sacrifici e sofferenze, mi avrebbero potuta strappare da lui.
E anche ciò, solo a poco a poco. Se ci sono pochi ossessi esternamente; di ossessi internamente ce n'è un formicolaio. Il demonio non può rapire la libera volontà a coloro che si dànno al suo influsso. Ma in pena della loro, per dir così, metodica apostasia da Dio, questi permette che il « maligno » si annidi in essi.
Io odio anche il demonio. Eppure egli mi piace, perché cerca di rovinare voialtri; lui e i suoi satelliti, gli spiriti caduti con lui al principio del tempo.
Essi si contano a milioni. Girovagano per la terra; densi come uno sciame di moscerini, e voi neanche ve ne accorgete.
Non tocca a noi riprovati di tentarvi; questo è ufficio degli spiriti decaduti. Veramente ciò accresce ancor più il loro tormento ogni volta che essi trascinano quaggiù all'inferno un'anima umana. Ma che cosa non fa mai l'odio?
Benché io camminassi per sentieri lontani da Dio, Dio mi seguiva.
Preparavo la via alla Grazia con atti di carità naturale che compivo non di rado per inclinazione del mio temperamento.
Talvolta Dio mi attirava in una chiesa. Allora sentivo come una nostalgia. Quando curavo la mamma malaticcia, nonostante il lavoro d'ufficio durante il giorno, e in certo modo mi sacrificavo davvero, questi allettamenti di Dio agivano potentemente.
Una volta, nella chiesa dell'ospedale, in cui tu mi avevi condotta durante la pausa del mezzogiorno, mi venne qualcosa addosso che sarebbe bastato un solo passo per la mia conversione: io piansi!
Ma poi la gioia del mondo passava di nuovo come un torrente sopra la Grazia. Il grano soffocava tra le spine.
Con la dichiarazione che la religione è affare di sentimento, come si diceva sempre in ufficio, cestinai anche questo invito della Grazia, come tutti gli altri.
Una volta tu mi rimproverasti, perché invece di una genuflessione fino a terra, feci appena un informe inchino, piegando il ginocchio. Tu lo ritenesti un atto di pigrizia. Non sembrasti neppur sospettare che io fin d'allora non credevo più nella presenza di Cristo nel Sacramento.
Ora ci credo, ma solo naturalmente, come si crede in un temporale di cui si scorgono gli effetti.
Intanto mi ero accomodata io stessa una religione a mio modo.
Sostenevo l'opinione, che da noi in ufficio era comune, che l'anima dopo la morte risorga in un altro essere. In tal modo continuerebbe a pellegrinare senza, fine.
Con ciò l'angosciosa questione dell'aldi là era insieme messa a posto e resa a me innocua.
Perché tu non mi hai ricordato la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro, in cui il narratore, Cristo, manda immediatamente dopo la morte, l'uno all'inferno e l'altro in paradiso?...,Del resto, che cosa avresti ottenuto? Nulla di più che con gli altri tuoi discorsi di bigottismo!
A poco a poco mi creai io stessa un Dio: sufficientemente dotato da essere chiamato Dio; lontano abbastanza da me da non dover mantenere nessuna relazione con lui; vago abbastanza da lasciarsi, secondo il bisogno, senza mutar la mia religione; rassomigliare a un Dio panteistico del mondo, oppure da lasciarsi poetizzare come un Dio solitario.
Questo Dio non aveva nessun paradiso da regalarmi e nessun inferno da infliggermi. Lo lasciavo in pace. In ciò consisteva la mia adorazione per lui.
A ciò che piace si crede volentieri. Nel corso degli anni mi tenni abbastanza convinta della mia religione. In questo modo si poteva vivere.
Una cosa soltanto mi avrebbe spezzato la cervice: un lungo, profondo dolore. E questo dolore non venne!
Comprendi ora cosa vuol dire: « Dio castiga quelli che ama! »?
Era una domenica di luglio, quando l'Associazione delle giovani organizzo una gita a ***. La gita mi sarebbe piaciuta. Ma quegli insulsi discorsi, quel fare da bigotti!
Un altro simulacro ben diverso da quello della Madonna di *** stava da poco tempo sull'altare del mio cuore. L'aitante Max N... del negozio attiguo. Poco tempo prima avevamo scherzato più volte.
Appunto per quella domenica egli mi aveva invitata a una gita. Quella con cui andava di solito, giaceva malata all'ospedale.
Egli aveva ben capito che gli avevo messo gli occhi addosso. Sposarlo non ci pensavo ancora allora. Era bensì agiato, ma si comportava troppo gentilmente con tutte le ragazze. E io, fino a quel tempo, volevo un uomo che appartenesse unicamente a me. Non solo essere moglie, ma moglie unica. Un certo galateo naturale, infatti, l'ebbi sempre.
Nella suaccennata gita Max si profuse in gentilezze. Eh! già, non si tennero mica delle conversazioni pretesche come tra voialtre!
Il giorno seguente, in ufficio, tu mi facesti dei rimproveri, perché non ero venuta con voi a ***. Io ti descrissi il mio divertimento di quella domenica.
La tua prima domanda fu: « Sei stata alla Messa? » Sciocchina! Come potevo, dato che la partenza era già fissata per le sei?!
Sai ancora, come io, eccitata aggiunsi: «Il buon Dio non ha una mentalità così piccina come i vostri pretacci! ».
Ora devo confessare: Dio, nonostante la sua infinita bontà, pesa le cose con maggior precisione che tutti i preti. Dopo quella prima gita con Max, venni ancora una volta sola all'Associazione: a Natale, per la celebrazione della festa. C'era qualche cosa che mi allettava a tornare. Ma internamente mi ero già allontanata da voialtre.
Cinema, ballo, gite si avvicendevano senza tregua. Max e io bisticciammo alcune volte, ma seppi sempre incatenarlo di nuovo a me.
Molestissima mi riuscì l'altra amante, che, tornata dall'ospedale, si comportò come un'ossessa. Veramente per mia fortuna; poiché la mia nobile calma fece potente impressione su Max, che finì col decidere che io fossi la preferita.
Avevo saputo rendergliela odiosa, parlando freddamente: all'esterno positiva, nell'interno vomitando veleno. Tali sentimenti e tale contegno preparano eccellentemente per l'inferno. Sono diabolici nel più stretto senso della parola.
Perché ti racconto ciò? Per riferire come io mi staccai definitivamente da Dio. Non già, del resto, che tra me e Max si sia arrivati molto spesso fino agli estremi della familiarità. Comprendevo che mi sarei abbassata ai suoi occhi, se mi fossi lasciata andare del tutto, prima del tempo; perciò mi seppi trattenere.
Ma in sé, ogni volta che lo ritenevo utile, ero sempre pronta a tutto. Dovevo conquistare Max. A tale scopo nulla era troppo caro. Inoltre, a poco a poco ci amavamo, possedendo ambedue non poche preziose qualità, che ci facevano stimare vicendevolmente. Io ero abile, capace, di piacevole compagnia. Così mi tenni saldamente in mano Max e riuscii, almeno negli ultimi mesi prima del matrimonio, a essere l'unica a possederlo.
In ciò consiste la mia apostasia da Dio: elevare una creatura a mio idolo. In nessuna cosa può avvenire questo, in modo che abbracci tutto, come nell'amore di una persona dell'altro sesso, quando quest'amore rimane arenato nelle soddisfazioni terrene. E' questo che forma la sua attrattiva, il suo stimolo e il suo veleno. L'« adorazione », che io tributavo a me stessa nella persona di Max, divenne per me religione vissuta.
Era il tempo in cui in ufficio mi scagliavo velenosa contro i chiesaioli, i preti, le indulgenze, il biascichìo dei rosari e simili sciocchezze.
Tu hai cercato, più o meno argutamente, di prendere le difese di tali cose. Apparentemente senza sospettare che nel più intimo di me non si trattava, in verità, di queste cose, io cercavo piuttosto un sostegno contro la mia coscienza - allora avevo bisogno di un tale sostegno - per giustificare anche con la ragione la mia apostasia.
In fondo in fondo, mi rivoltavo contro Dio. Tu non lo comprendesti; mi ritenevi ancora per cattolica. Volevo, anzi, essere chiamata così; pagavo perfino le tasse ecclasistiche. Una certa « contro-assicurazione », pensavo, non poteva nuocere.
Le tue risposte può darsi alle volte abbiano colpito nel segno. Su di me non facevano presa, perché tu non dovevi avere ragione.
A causa di queste relazioni falsate fra noi due, fu meschino il dolore del nostro distacco, allorché ci separammo in occasione del mio matrimonio.
Prima dello sposalizio mi confessai e comunicai ancora una volta. Era prescritto. Io e mio marito su questo punto la pensavamo ugualmente. Perché non avremmo dovuto compiere questa formalità? Anche noi la compimmo, come le altre formalità.
Voi chiamate indegna una tale Comunione. Ebbene, dopo quella Comunione «indegna », io ebbi più calma nella coscienza. Del resto fu anche l'ultima.
La nostra vita coniugale trascorreva, in genere, quanto mai in grande armonia. Su tutti i punti di vista noi eravamo dello stesso parere. Anche in questo: che non volevamo addossarci il peso dei figli. Veramente mio marito ne avrebbe volentieri voluto uno; non di più, si capisce. Alla fine io seppi stornarlo anche da questo desiderio.
Vesti, mobili di lusso, ritrovi da thè, gite e viaggi in auto e simili distrazioni m'importavano di più.
Fu un anno di piacere sulla terra quello trascorso tra il mio sposalizio e la mia repentina morte.
Ogni domenica andavamo fuori in auto, oppure facevamo visite ai parenti di mio marito. Di mia madre ora mi vergognavo. Essi galleggiavano alla superficie dell'esistenza, né più né meno di noi.
Internamente, si capisce, non mi sentii mai felice, per quanto esternamente ridessi. C'era sempre dentro di me qualcosa di indeterminato, che mi rodeva. Avrei voluto che dopo la morte, la quale naturalmente doveva essere ancora molto lontana, tutto fosse finito.
Ma è proprio così, come un giorno, da bambina, sentii dire in una predica: che, Dio premia ogni opera buona che uno compie, e quando non la potrà ricompensare nell'altra vita, lo fa sulla terra. Inaspettatamente ebbi un'eredità dalla zia Lotte. A mio marito riuscì felicemente di portare il suo stipendio a una cifra notevole. Così potei ordinare la nuova abitazione in modo attraente.
La religione non mandava più che da lontano la sua luce, scialba, debole e incerta.
I caffè della città, gli alberghi, in cui andavamo durante i viaggi, non ci portavano certamente a Dio.
Tutti coloro, che frequentavano quei luoghi, vivevano, come noi, dall'esterno all'interno, non dall'interno all'esterno.
Se nei viaggi delle ferie visitammo qualche chiesa, cercavamo di ricrearci nel contenuto artistico delle opere. L'alito religioso che spiravano, specialmente quelle medioevali, sapevo neutralizzarlo col criticare qualche circostanza accessoria: un frate converso impacciato o vestito in modo non pulito, che ci faceva da cicerone; lo scandalo che dei monaci, i quali volevano passare per pii vendessero liquori; l'eterno scampanio per le sacre funzioni, mentre non si tratta che di far soldi...
Così seppi continuamente scacciare da me la Grazia ogni volta che bussava. Lasciavo libero sfogo al mio malumore in modo particolare su certe rappresentazioni medioevali dell'inferno nei cimiteri o altrove, nelle quali il demonio arrostisce le anime in brage rosse e incandescenti, mentre i suoi compagni, dalle lunghe code, gli trascinano nuove vittime. Clara! L'inferno si può sbagliare a disegnarlo, ma non si esagera mai!
Il fuoco dell'inferno l'ho sempre preso di mira in modo speciale. Tu lo sai come durante un alterco, in proposito ti tenni una volta un fiammifero sotto il naso e ti dissi con sarcasmo: « Ha questo odore? ».
Tu spegnesti in fretta la fiamma. Qui non la spegne nessuno.
Io ti dico: il fuoco di cui si parla nella Bibbia, non significa tormento della coscienza. Fuoco è fuoco! E' da intendersi letteralmente ciò che ha detto lui: «Via da me, maledetti, nel fuoco eterno! ». Letteralmente.
« Come può lo spirito essere toccato da fuoco materiale? », domanderai. Come può l'anima tua soffrire sulla terra quando tu metti il dito sulla fiamma? Difatti non brucia l'anima; eppure che tormento ne prova tutto l'individuo!
In modo analogo noi qui siamo spiritualmente legati al fuoco, secondo la nostra natura e secondo le nostre facoltà. L'anima nostra è priva del suo naturale battito d'ala; noi non possiamo pensare ciò che vogliamo né come vogliamo.
Non meravigliarti di queste mie parole. Questo stato, che a voialtri non dice nulla, mi riarde senza consumarmi.
Il nostro maggior tormento consiste nel sapere con certezza che noi non vedremo mai Dio.
Come può questo tormentare tanto, dal momento che uno sulla terra rimane così indifferente?
Fintanto che il coltello giace sulla tavola, ti lascia fredda. Si vede quanto è affilato, ma non lo si prova. Immergi il coltello nella carne e ti metterai a gridare dal dolore.
Adesso noi sentiamo la perdita di Dio; prima la pensavamo soltanto.
Non tutte le anime soffrono in misura eguale.
Con quanta maggior cattiveria e quanto più sistematicamente uno ha peccato, tanto più grave pesa su di lui la perdita di Dio e tanto più lo soffoca la creatura di cui ha abusato.
I cattolici dannati soffrono di più che quelli di altre religioni, perchè essi, per lo più, ricevettero e calpestarono più grazie e più luce.
Chi più seppe, soffre più duramente di chi conobbe meno.
Chi peccò per malizia, patisce più acutamente di chi cadde per debolezza.
Mai nessuno patisce più di quello che ha meritato. Oh, se non fosse vero ciò, io avrei un motivo d'odiare!
Tu mi dicesti un giorno che nessuno va all'inferno senza saperlo: ciò sarebbe stato rivelato a una santa.
Io me ne risi. Ma poi mi trincerai dentro questa dichiarazione.
« Così, in caso di necessità, rimarrà abbastanza tempo per fare una «voltata», mi dicevo segretamente.
Quel detto è giusto. Veramente, prima della mia subitanea fine, non conobbi l'inferno com'è. Nessun mortale lo conosce. Ma io ne avevo la piena coscienza: «Se muori, vai nel mondo di là dritta come una freccia contro Dio. Ne porterai le conseguenze».
Io non feci dietro-front, come ho già detto, perchè trascinata dalla corrente dell'abitudine. Spinta da quella conformità per cui gli uomini, quanto più invecchiano, tanto più agiscono in una stessa direzione.
La mia morte avvenne così.
Una settimana fa - parlo secondo il vostro computo, perchè rispetto al dolore, potrei dire benissimo che son già, dieci anni che brucio nell'inferno - una settimana fa, dunque, mio marito e io facemmo di domenica una gita, l'ultima per me.
Il giorno era sputato radioso. Mi sentivo bene quanto mai. M'invase un sinistro sentimento di felicità, che serpeggiò in me per tutta la giornata.
Quand'ecco all'improvviso, nel ritorno, mio marito fu abbacinato da un'auto che veniva di volata. Perdette il controllo.
« Jesses (*),
(*) Storpiamento di Jesus, usato frequentemente fra alcune popolazioni di lingua tedesca.
mi scappò dalle labbra con un brivido. Non come preghiera, solo come grido. Un dolore straziante mi compresse tutta. - In confronto con quello presente una bagatella. - Poi perdetti i sensi.
Strano! Quella mattina era sorto, in me, in modo inspiegabile, questo pensiero: « Tu potresti ancora una volta andare a Messa ». Suonava come un'implorazione.
Chiaro e risoluto, il mio « no » troncò il filo dei pensieri. « Con queste cose bisogna farla finita una volta. Mi addosso tutte le conseguenze! ». - Ora le porto.
Ciò che avvenne dopo la mia morte, già lo saprai. La sorte di mio marito, quella di mia madre, ciò che accadde del mio cadavere e lo svolgimento del mio funerale mi son noti nei loro particolari mediante cognizioni naturali che noi qui abbiamo.
Quello, del resto, che succede sulla terra lo sappiamo solo nebulosamente. Ma ciò che in qualche modo ci tocca da vicino, lo conosciamo. Così vedo anche dove tu soggiorni.
Io stessa mi risvegliai improvvisamente dal buio, nell'istante del mio trapasso. Mi vidi come inondata da una luce abbagliante.
Fu nel luogo medesimo dove giaceva il mio cadavere. Avvenne come in un teatro, quando nella sala d'un tratto si spengono le luci, il sipario si divide rumorosamente e si apre una scena inaspettata, orribilmente illuminata. La scena della mia vita.
Come in uno specchio l'anima mia si mostrò a me stessa. Le grazie calpestate dalla giovinezza fino all'ultimo « no» di fronte a Dio.
Io mi sentii come un assassino, al quale, durante il processo giudiziario, vien portata dinanzi la sua vittima esanime. - Pentirmi? Mai! - Vergognarmi? Mai!
Però non potevo neppure resistere sotto gli occhi di Dio, da me rigettato. Non mi rimaneva che una cosa: la fuga.
Come Caino fuggì dal cadavere di Abele, così l'anima mia fu spinta via da quella vista di orrore.
Questo fu il giudizio particolare: l'invisibile Giudice disse. « Via da me! ». Allora la mia anima, come un'ombra gialla di zolfo, precipitò nel luogo dell'eterno tormento.
CONCLUDE CLARA
La mattina, al suono dell'Angelus, ancora tutta tremante per la notte spaventosa, mi alzai e corsi per le scale nella cappella.
Il cuore mi pulsava fin sulla gola. Le poche ospiti, inginocchiate vicino a me, nd guardarono; ma forse pensarono che fossi così eccitata per la corsa fatta giù per le scale.
Una signora bonaria di Budapest, che mi aveva osservata, mi disse dopo sorridendo:
- Signorina, il Signore vuole essere servito con calma, non di corsa!
Ma poi si accorse che qualcosa d'altra mi aveva eccitato e mi teneva ancora in agitazione. E mentre la signora mi rivolgeva altre buone parole, io pensavo: Dio solo mi basta!
Sì, egli solo mi deve bastare in questa - e nell'altra vita. Voglio un giorno poterlo godere In Paradiso, per quanti sacrifici mi possa costare in terra. Non voglio andare all'inferno!
amami come sei...
AMAMI COME SEI
(Gesù parla a un’anima)
“Conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima, le deficienze e le infermità del tuo corpo: - so la tua viltà, i tuoi peccati, e ti dico lo stesso: “Dammi il tuo cuore, amami come sei...”. Se aspetti di essere un angelo per abbandonarti all'amore, non amerai mai. Anche se sei vile nella pratica del dovere e della virtù, se ricadi spesso in quelle colpe che vorresti non commettere più, non ti permetto di non amarmi. Amami come sei. In ogni istante e in qualunque situazione tu sia, nel fervore o nell'aridità, nella fedeltà o nella infedeltà, amami... come sei.., Voglio l'amore del tuo povero cuore; se aspetti di essere perfetto, non mi amerai mai. Non potrei forse fare di ogni granello di sabbia un serafino radioso di purezza, di nobiltà e di amore ? non sono io l'Onnipotente ?. E se ml piace lasciare nel nulla quegli esseri meravigliosi e preferire il povero amore del tuo cuore, non sono io padrone del mio amore? Figlio mio, lascia che Ti ami, voglio il tuo cuore. Certo voglio col tempo trasformarti ma per ora ti amo come sei... e desidero che tu faccia lo stesso; io voglio vedere dai bassifondi della miseria salire l'amore. Amo in te anche la tua debolezza, amo l'amore dei poveri e dei miserabili; voglio che dai cenci salga continuamente un gran grido: “Gesù ti amo”. Voglio unicamente il canto del tuo cuore, non ho bisogno né della tua scienza, né del tuo talento. Una cosa sola m'importa, di vederti lavorare con amore. Non sono le tue virtù che desidero; se te ne dessi, sei così debole che alimenterebbero il tuo amor proprio; non ti preoccupare di questo. Avrei potuto destinarti a grandi cose; no, sarai il servo inutile; ti prenderò persino il poco che hai ... perché ti ho creato soltanto per l'amore. Oggi sto alla porta del tuo cuore come un mendicante, io il Re dei Re! Busso e aspetto; affrettati ad aprirmi. Non allegare la tua miseria; se tu conoscessi perfettamente la tua indigenza, morresti di dolore. Ciò che mi ferirebbe il cuore sarebbe di vederti dubitare di me e mancare di fiducia. Voglio che tu pensi a me ogni ora del giorno e della notte; voglio che tu faccia anche l’azione più insignificante solo per amore. Conto su di te per darmi gioia… Non ti preoccupare di non possedere virtù: ti darò le mie. Quando dovrai soffrire, ti darò la forza. Mi hai dato l’amore, ti darò di saper amare al di là di quanto puoi sognare… Ma ricordati… amami come sei… Ti ho dato mia Madre; fa passare, fa passare tutto dal suo Cuore così puro. Qualunque cosa accada, non aspettare di essere santo per abbandonarti all’amore, non mi ameresti mai… Va…”