amami come sei...

AMAMI COME SEI (Gesù parla a un’anima) “Conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima, le deficienze e le infermità del tuo corpo: - so la tua viltà, i tuoi peccati, e ti dico lo stesso: “Dammi il tuo cuore, amami come sei...”. Se aspetti di essere un angelo per abbandonarti all'amore, non amerai mai. Anche se sei vile nella pratica del dovere e della virtù, se ricadi spesso in quelle colpe che vorresti non commettere più, non ti permetto di non amarmi. Amami come sei. In ogni istante e in qualunque situazione tu sia, nel fervore o nell'aridità, nella fedeltà o nella infedeltà, amami... come sei.., Voglio l'amore del tuo povero cuore; se aspetti di essere perfetto, non mi amerai mai. Non potrei forse fare di ogni granello di sabbia un serafino radioso di purezza, di nobiltà e di amore ? non sono io l'Onnipotente ?. E se ml piace lasciare nel nulla quegli esseri meravigliosi e preferire il povero amore del tuo cuore, non sono io padrone del mio amore? Figlio mio, lascia che Ti ami, voglio il tuo cuore. Certo voglio col tempo trasformarti ma per ora ti amo come sei... e desidero che tu faccia lo stesso; io voglio vedere dai bassifondi della miseria salire l'amore. Amo in te anche la tua debolezza, amo l'amore dei poveri e dei miserabili; voglio che dai cenci salga continuamente un gran grido: “Gesù ti amo”. Voglio unicamente il canto del tuo cuore, non ho bisogno né della tua scienza, né del tuo talento. Una cosa sola m'importa, di vederti lavorare con amore. Non sono le tue virtù che desidero; se te ne dessi, sei così debole che alimenterebbero il tuo amor proprio; non ti preoccupare di questo. Avrei potuto destinarti a grandi cose; no, sarai il servo inutile; ti prenderò persino il poco che hai ... perché ti ho creato soltanto per l'amore. Oggi sto alla porta del tuo cuore come un mendicante, io il Re dei Re! Busso e aspetto; affrettati ad aprirmi. Non allegare la tua miseria; se tu conoscessi perfettamente la tua indigenza, morresti di dolore. Ciò che mi ferirebbe il cuore sarebbe di vederti dubitare di me e mancare di fiducia. Voglio che tu pensi a me ogni ora del giorno e della notte; voglio che tu faccia anche l’azione più insignificante solo per amore. Conto su di te per darmi gioia… Non ti preoccupare di non possedere virtù: ti darò le mie. Quando dovrai soffrire, ti darò la forza. Mi hai dato l’amore, ti darò di saper amare al di là di quanto puoi sognare… Ma ricordati… amami come sei… Ti ho dato mia Madre; fa passare, fa passare tutto dal suo Cuore così puro. Qualunque cosa accada, non aspettare di essere santo per abbandonarti all’amore, non mi ameresti mai… Va…”

martedì 5 ottobre 2010

Chiara Luce COME IN UN SOGNO

COME IN UN SOGNO

Chiara non ha ancora nove anni quando avviene un incontro che da subito si rivela fondamentale per lei: quello con i Focolari. Da alcune amichette viene a sapere di un grande ideale che trasformerebbe la vita di chi lo sceglie, di un gruppo di persone che vorrebbe il mondo unito. Immediatamente vuole saperne di più. L'incontro vero e proprio avviene a un raduno delle giovanissime dei Focolari, nel settembre del 1980. Scopre un modo di vivere e pensare per lei nuovo, quasi un coronamento alla sua sete di Dio: lì il suo amore trabocca su chi lo sceglie come ideale della propria vita e porta l'unità, cioè la presenza promessa da Gesù a coloro che sono uniti nel suo nome. Da quel momento in poi, Chiara non sarà più la stessa. La cosa non può lasciare indifferenti i genitori che, con sorpresa di Chiara (ma non troppo), confermano questa sua adesione. Ciò avviene a un grande raduno di famiglie, il Familyfest 1981, al Palaeur di Roma. Sentiamo il racconto che ne fa Ruggero: «Non volevo scendere a Roma, ma accettai per far visitare la capitale a mia figlia. Per tre giorni girammo la città; poi, arrivati al giorno del Familyfest, mi misi a trascinare i piedi. Così arrivammo in ritardo, e la gente dovette farci spazio nella sala dell'Eur stipata in ogni ordine di posti. Udii qualche parola dal palco: parlavano di un amore diverso da quello che potevo provare per Maria Teresa e Chiara: forte, naturale e soprannaturale. Piano piano intuii che esisteva un Gesù vicino, a cui potevo dare del tu, a cui potevo dire ogni cosa. "Capitolai" quando la bambina disse che aveva fame: subito i vicini le proposero un panino, un frutto o una bibita. E a pranzo, pur avendo un nostro picnic, mangiammo solo quel che ci venne offerto». Racconta Maria Teresa: «Tornati a casa, se ci avessero chiesto quando ci eravamo sposati, avremmo risposto: "Quando abbiamo incontrato quest'ideale"». E continua Ruggero: «Avevo finalmente capito che questo Gesù mi era vicino; sentivo la sua forte presenza. Quando poi trovavo qualche difficoltà, magari perché mi comportavo sgarbatamente, provavo la sensazione di respirare a metà. C'era qualcosa che non andava, ma non riuscivo a capire cosa. Poi capii: se rompevo, veniva meno l'altra parte del rapporto, l'altro polmone per poter respirare bene». Da quel momento i Badano saranno più di prima un esempio di rispetto, calore e unità, in questo nuovo impegno che rivoluziona ben presto le tradizioni e gli orari della famiglia. Ma soprattutto tale testimonianza di unità emergerà nel momento della malattia di Chiara, qualche anno più tardi.
Dove Chiara lasciò il cuore

Gen 3. Un universo, come lo è il cuore di ogni bambina che si apre alla vita, che scopre il mondo. E quello che c'è oltre il mondo. Chiara si lega al gruppo delle gen 3 di Albisola, e poi a quelle di Genova. Giocano e si divertono, quelle ragazzine, ma non solo. Scrivono insieme il 29 settembre 1980, in occasione del primo incontro gen 3 cui Chiara partecipa: «Abbiamo cominciato subito la nostra avventura: fare la volontà di Dio nell'attimo presente. Col vangelo sotto braccio faremo grandi cose». Lucia, un'amichetta di allora, racconta di quel periodo: «Giocavamo e inventavamo un'infinità di scherzi; Chiara era una bambina piena di vita, una compagna di giochi un po' mattacchiona e molto simpatica. Comunicava a tutti la sua allegria, e aveva sempre il sorriso, la purezza negli occhi. Il suo maggior pregio era la vitalità». Il 29 agosto di quell'anno, Chiara scrive la sua prima letterina a Chiara Lubich, il leader delle gen 3, su una carta da lettera decorata da un disegnino dai colori pastello. Eccola per intero: «Carissima Chiara Lubich, per prima cosa mi presento. Sono una bambina di quasi dieci anni, mi chiamo Chiara come te, abito in un piccolo paese di nome Sassello in provincia di Savona. Io ti conosco, perché il 3 maggio sono andata coi miei genitori a Roma, al congresso delle famiglie, e in mezzo a tutta quella gente con un binocolo sono riuscita a vederti. Quest'anno ho avuto la fortuna di partecipare alla mia prima Mariapoli (incontri estivi dei Focolari, ndr). Non sono andata coi miei genitori, ma ho scelto di andare con le gen 3 in un bel santuario chiamato la Madonna del Pozzo. Quando la mamma mi ha lasciata era un po' preoccupata e mi ha detto: "Chiara, adesso sei sola, cerca di comportarti bene". Ma io le ho risposto: "Mamma, non sono sola, c'è Gesù". Le bambine che ho incontrato erano buone, gentili, diverse da quelle di scuola, e insieme abbiamo cercato di vivere per Gesù. Ho fatto anche una piccola esperienza, prestando le mie scarpe a una bambina che doveva andare sul palco a raccontare anche lei la sua esperienza alla Mariapoli degli adulti. Ti abbraccio forte forte, Chiara». Da questa letterina di Chiara Badano emergono alcuni elementi che in seguito matureranno con forza, soprattutto nei due anni della malattia: la scelta di Dio e quella dell'unità, la priorità data al vangelo vissuto. La distanza che la bambina prende dai genitori, con quella frase: «Mamma, non sono sola, c'è Gesù», sembra riecheggiare la reazione del Gesù Bambino ritrovato dai genitori mentre ammaestra i dottori nel tempio. Poi quel: «Insieme abbiamo cercato di vivere per Gesù», che dimostra come sin dai primi approcci avesse centrato il cuore della spiritualità dell'unità. E infine l'esperienza raccontata in conclusione: Chiara capisce subito che il vangelo o viene vissuto o è lettera morta.
La prima scelta

La giovanissima Chiara diventata gen 3 - non ha ancora 12 anni - continua a essere innamorata del vangelo. La sera, prima di dormire, scrive alcuni semplicissimi fatti di vita, dei fioretti. Eccone uno: «Una compagna ha la scarlattina, e tutti hanno paura di visitarla. D'accordo con i miei genitori penso di portarle i compiti, perché non si senta sola. Credo che più del timore, sia importante amare». Nel 1983 Chiara per due volte si reca a Rocca di Papa, vicino a Roma, dove si svolgono i congressi internazionali delle gen 3. Come al solito in famiglia c'è un po' di trambusto, perché i nonni e gli zii rimproverano a Ruggero e Maria Teresa di lasciar partire la bambina per così lontano. Ma è proprio in queste occasioni che Chiara compie una scelta che non metterà più in discussione. Sentiamo cosa scrive a Chiara Lubich il 17 giugno: «Questo per me è stato il primo congresso, e devo dire che è stata un'esperienza meravigliosa, ho riscoperto Gesù abbandonato in modo speciale, l'ho sperimentato in ogni prossimo che mi passava accanto. Quest'anno mi sono riproposta di vedere Gesù abbandonato come mio sposo e accoglierlo con gioia e, soprattutto, con tutto l'amore possibile». E qualche mese dopo, il 27 novembre, appena compiuti i 12 anni: «La realtà per me più importante durante questo congresso è stata la riscoperta di Gesù abbandonato. Prima lo vivevo piuttosto superficialmente, e lo accettavo per poi aspettarmi la gioia. In questo congresso ho capito che stavo sbagliando tutto. Non dovevo strumentalizzarlo, ma amarlo e basta. Ho scoperto che Gesù abbandonato è la chiave dell'unità con Dio e voglio sceglierlo come mio primo sposo e prepararmi per quando viene. Preferirlo! Ho capito che posso trovarlo nei lontani, negli atei, e che devo amarli in modo specialissimo, senza interesse». Gesù abbandonato, uno dei cardini della spiritualità dell'unità, il desiderio di rivivere il momento in cui Gesù più aveva sofferto, quando gridò sulla croce: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?». Lì c'è la chiave dell'unità tra gli uomini sulla terra, e anche tra la terra e il cielo. Lì c'è il compendio della passione e della morte di Gesù, e la chiave della sua resurrezione. E Chiara, 12 anni, centra il mistero del cristianesimo.
Le due Chiara, un legame ininterrotto

Chiara, cioè Chiara Lubich, con la quale intratterrà una corrispondenza regolare. Con lei stringerà un rapporto vitale, intensissimo, fino all'ultimo, quando dirà: «Debbo tutto a Dio e a Chiara». Già nel suo primo congresso gen 3 scriveva: «Non trovo parole per ringraziarti, ma so che devo tutto a te e a Dio». Aveva appena 11 anni. Dalle lettere riportate in queste pagine emerge chiaramente quanto la figliolanza spirituale di Chiara Badano nei confronti della fondatrice dei Focolari sia piena, coltivata, matura. Nelle sue lettere c'è confidenza e rispetto, confessione e impegno. Come in questa del novembre del 1985, scritta appena cominciate le superiori, dal congresso romano delle gen 3: «Carissima mamma, durante questo congresso ho riscoperto il vangelo sotto una nuova luce. Ho capito che non ero una cristiana autentica perché non lo vivevo sino in fondo. Ora voglio fare di questo magnifico libro il mio unico scopo della vita. Non voglio e non posso rimanere analfabeta di un così straordinario messaggio. Come per me è facile imparare l'alfabeto, così deve esserlo anche vivere il vangelo. Ho riscoperto quella frase che dice: "Date e vi sarà dato": devo imparare ad avere più fiducia in Gesù, a credere nel suo immenso amore. Grazie per il grande dono che ogni giorno riscopro sempre nuovo». Nei Focolari c'è un'abitudine, ripresa dalle prime comunità cristiane: quella di prendere un "nome nuovo" una volta intrapresa la strada verso un cristianesimo autentico. E di scegliere nello stesso tempo una frase del vangelo, la propria "parola di vita", per meglio seguire Dio nella sua volontà. Tra le gen 3 c'è l'uso di chiedere sia il "nome nuovo" che la "parola di vita" a Chiara Lubich stessa. Chissà perché, per tre volte Chiara Badano le chiese questi due sigilli al suo essere gen 3, ma non ottenne risposta. Dice Maria Teresa: «Chiara soffriva molto di non ricevere risposta alle sue lettere. Le altre gen 3 ricevevano il loro "nome nuovo", ma lei nulla. Mi disse un giorno, avendo constatato che la buca delle lettere era ancora vuota: "Chiara non mi ha risposto ancora. Fa niente, lei ha tanto da fare... E poi io ho già tutto quello che mi serve". Credo fermamente che fosse tutto un piano di Dio: doveva prepararsi».
Verso l'adolescenza: sport, amicizie e vangelo

Sant'Agostino ripete spesso che l'amore rende belli: Chiara appare rivestita della bellezza evangelica, è molto carina, una bella ragazzina. Le foto ce la presentano sin dall'infanzia come volitiva, con un carattere ben definito. Ma in quel volto delicato, ciò che attira è il suo sguardo, non remissivo né aggressivo. Limpido e basta. All'adolescenza arriva semplicemente; non ha perso le buone abitudini acquisite negli anni. Come quella di andare a rendere visita alle vecchiette dell'ospizio che si trova subito sopra la casa dei Badano, dopo la grande curva. In particolare ce n'è una, Speranza, piccolissima, riservata, candida in tutti i sensi. Un giorno la trova un po' triste, e riesce infine a capirne il motivo: le rubano la biancheria. Così, da quel giorno, verrà lavata a casa Badano. In un'altra occasione, Speranza desidera lavarsi i piedi, ma non ammette che sia quella bambina a farlo: così è Maria Teresa ad assumersi il compito. Un altro episodio di quegli anni riguarda l'amichetta Roberta. La sua mamma è in ospedale per un tumore, e Chiara l'ha per così dire adottata. Più tardi anche la nonna di Roberta deve sottoporsi a una visita medica, che rivela una grave malattia. Le invita a casa, nonna e nipote, chiedendo alla mamma di mettere sulla tavola la tovaglia più bella, «perché oggi Gesù viene a trovarci». Ancora. I nonni, che abitano sopra la curva, hanno bisogno di qualcuno che li assista durante la notte. Maria Teresa e Ruggero sono stanchi per le tante nottate trascorse fuori casa. Così Chiara si offre lei di fare il turno dai nonni. Insiste tanto finché ottiene il permesso. Si avvia così verso casa loro, portando con sé anche lo zainetto con i libri di scuola per il giorno seguente. Si addormenta, ma si risveglia subito. E rassicurata, perché i nonni dormono e stanno bene; ma, per non rischiare di riaddormentarsi, fino alla mattina si infligge in continuazione dei pizzicotti sulle gambe... E il giorno dopo, a scuola, nessuno si accorge che non ha dormito. Chiara è una ragazza che cresce, che scopre il mondo, a cui piace la musica leggera, e che non disdegna di accennare a due passi di ballo. Le piace cantare, ha una bellissima voce, cristallina. Spesso intona una canzone dei gen o una di moda. Sa farsi apprezzare: è una ragazza sempre circondata di amici e amiche. Dice una di loro: «Le piaceva anche vestirsi con proprietà, pettinarsi con cura e qualche volta truccarsi un poco, però mai con lusso». Non sa stare ferma, da grande vorrebbe fare la hostess. È lo sport in particolare ad attrarla. Ogni occasione è buona. Oltre alle lunghe passeggiate in montagna con papà per cogliere funghi, le piace giocare a tennis e nuotare. La mamma la ricorda lanciarsi in mezzo ai cavalloni, una, dieci, cento volte. Ancor oggi, nella casa di Sassello, si scorgono un paio di foto della giovane Badano mentre si tuffa in mare con un buon stile carpiato.
Da Sassello a Savona, l'adolescenza

I Badano si trasferiscono a Savona nel 1985, a motivo degli studi di Chiara al liceo classico. «Viaggiano tutti da Sassello in città; perché proprio noi dobbiamo andarci ad abitare?»: così Chiara si chiede se il trasloco a Savona sia proprio necessario. Ma sul piatto della bilancia c'è anche il desiderio di Ruggero di non percorrere più in camion la strada verso il mare, visto che ora lavora ad Albisola. Comunque dal venerdì sera al lunedì mattina ritornano all'amata Sassello. Gli studi non vanno troppo bene, nonostante Chiara si applichi a fondo: «Non usciva quasi mai di casa - spiega la mamma - e studiava veramente tanto». Purtroppo non trova il feeling giusto con una professoressa, che la rimanda regolarmente. Eppure i professori da cui d'estate va a ripetizione per gli esami di riparazione si meravigliano per la sua buona preparazione, e i compagni protestano vivacemente per una bocciatura, quella in IV ginnasio, veramente immeritata. Nonostante tutto, però, non smette di riconoscere anche in queste difficoltà scolastiche il volto del suo sposo. Scrive a Marita, un'amica gen: «Sono rimasta bocciata, e per me è stato un dolore grandissimo. Subito non riuscivo proprio a dare questo dolore a Gesù. C'è voluto tanto tempo per riprendermi un pochino e ancora oggi a volte quando ci penso mi viene un po' da piangere. È Gesù abbandonato». Malgrado questi incidenti di percorso negli studi, a scuola lascia negli insegnanti e nei compagni una traccia luminosa. Ad esempio, dice di lei il professor Amoretti: «Si abbandonava fiduciosa all'insegnante. Ricordo il suo sorriso quieto, la luce serena dei suoi occhi mentre seguiva le mie spiegazioni e quelle dei miei colleghi. Naturalmente tutti noi avevamo notato i tratti di delicatezza e gentilezza spirituale che l'accompagnavano». Coi genitori qualche piccolo "aggiustamento" qua e là è necessario, anche se l'affetto è più forte, e ogni volta si giunge a "compromessi" soddisfacenti, come ad esempio per la questione sugli orari di rientro serali. In effetti, soprattutto nei weekend a Sassello, a Chiara piace trattenersi fuori. Dicono i genitori: «Ci preoccupavamo un po', perché coi ragazzi si intratteneva anche sino a ora tarda davanti al caffè. Così ci siamo messi d'accordo e le abbiamo dato un orario. Non fu facile: loro erano lì che parlavano e si godevano un gelato, e lei friggeva a casa. Un giorno ci disse: "Mi sembra di essere Cenerentola che quando scatta la mezzanotte è dovuta scappare e ha perso la scarpetta". Non avevamo capito che soffriva per il divieto. Ci interrogava di solito: "Ma voi, vi fidate di me?". E noi rispondevamo: "Chiara, di te sì, un po' meno degli altri". Poi ci siamo messi d'accordo: "Allora ti gestisci tu. Una sera, quando magari avete iniziato un discorso serio, ti fermi. La volta seguente, invece, tu rientri alle 22". Ci ha pensato: "Mi sta bene". Così abbiamo ritrovato l'equilibrio, e lei ne è rimasta felice».
Da gen 3 a gen 2

Chiara ha qualcosa che la distingue dalle sue coetanee; sa "tagliare", sa ritirarsi. Ha un colloquio aperto col Signore. Nell'estate 1988, un passaggio clou. Appena saputo di essere stata rimandata in matematica, accompagna a Roma delle bambine, le gen 4, per il loro primo congresso internazionale. Ha il cuore pesante per essere stata rimandata, ma non si tira indietro. Scrive ai genitori da quell'incontro: «È giunto un momento molto importante: quello dell'incontro con Gesù abbandonato. Abbracciarlo non è stato facile; ma Chiara Lubich questa mattina ha spiegato alle gen 4 che egli deve essere il loro sposo». Forse Gesù la stava preparando al «grande incontro» con «piccole punture di spillo», come dirà più tardi. Trova qualche difficoltà anche nel passaggio dalle gen 3 alle gen 2 (le prime arrivano fino ai 16-17 anni circa, le seconde vanno da quell'età in su). In effetti, questo è un cambiamento che talvolta può creare qualche problema: ci sono i piccoli "drammi" dell'adolescenza, si modificano i gruppi, l'adulto che li segue cambia pure... Ma è soprattutto il tempo di una nuova scelta. Maria Teresa mi racconta un momento decisivo per la figlia, quando decide di non partecipare ad un incontro gen 2, poi a un secondo. Non spiega molto i motivi, e forse non ce n'è nemmeno bisogno: deve scegliere lei, personalmente, il vangelo e Gesù, di nuovo. In seguito le viene chiesto (cosa normale tra le gen) se vuole seguire un gruppetto di ragazze tra Imperia e Ventimiglia che hanno conosciuto il loro ideale di vita e che vogliono seguirlo a loro volta... Si ritrova così spinta a non rimuginare sui suoi piccoli-grandi problemi di adolescente, e a mettersi a pensare agli altri con più lena. Così riprende il cammino con le gen 2 - in realtà mai interrotto -, dedicandosi a loro anima e corpo, scrivendo o telefonando regolarmente a ognuna, trovando il modo di farle felici con piccoli doni... È proprio in quei mesi che emergono i primi sintomi della malattia. Confiderà più tardi a due gen: «La malattia è arrivata al momento giusto, perché stavo per "perdermi": non cose grosse, ma comunque il nostro ideale stava passando in secondo piano... Voi però oggi non potete nemmeno immaginare qual è il mio rapporto con Dio».
Un festival di fantasia

Chiara si circonda, non appena possibile, di gente, di amici. Non che non riesca a star sola. Questo no. Ma nel suo essere c'è qualcosa che la spinge verso gli altri, verso coloro che in poco tempo sa trasformare in amici. Amici e amiche per lei sono in primo luogo i gen e le gen, con i quali ha un rapporto di confidenza molto semplice e nel contempo approfondito. Tra le altre Clara "Chicca" Coriasco, di un paio d'anni più grande di lei (ma sono come coetanee, e spesso amano spacciarsi per gemelle...). Più di ogni altra persona, Chicca stringe con lei un rapporto intenso, nel periodo dell'adolescenza e della prima giovinezza. Si telefonano a lungo e si scrivono, soprattutto nel periodo in cui Chicca si trasferisce a Torino per gli studi, mentre Chiara si trova "confinata" a Savona. Bigliettini normalissimi e spiritosi, in cui Chiara racconta di un regalo, di una gioia intensa provata ad un incontro con le gen, di una festa di compleanno. Il rapporto e la corrispondenza continuano e si intensificano negli anni brevi della malattia. Sarà spesso Chicca a raccoglierne i pensieri più intimi. Ma con le gen non c'è solo amicizia personale, pur importante. La sua "unità gen", il gruppetto nel quale è inserita, è un vero festival di fantasia e generosità: non perdono occasione per «cementare la loro unità» (come dicono loro) negli incontri in cui si raccontano reciprocamente esperienze di vangelo vissuto; ma anche con lettere, telefonate, feste, gite, regali, messaggi, sorprese. Tra loro la comunione dei beni è una realtà: Chiara conserva fino alla morte nella sua stanzetta un elenco delle sue cose, che non considera di sua proprietà; ne ha fatto l'elenco proprio per metterle a disposizione di chi ne ha bisogno, a cominciare dalle amiche della sua unità gen. Dalle numerose lettere di Chiara alle gen traspare il desiderio pressante di essere una persona integra, che comunica con la propria vita agli altri la sua scoperta di Dio amore, dell'unità come ideale di vita. Emerge anche la sua predilezione, una vera "passione", per chi non crede in Dio. Chiara è attivissima nelle attività del Movimento, in particolare del neonato Movimento Gioventù Nuova, per il quale darà tutta se stessa. A posteriori emerge la certezza che senza questa comunione costante e sempre nuova con le altre gen non si potrebbe capire quanto le succede negli ultimi due anni di vita. Non per niente, pochi giorni prima di morire, dirà che partendo per il cielo passerà «la fiaccola dell'unità ai gen che restano». E così è puntualmente avvenuto. Chiara è per loro ancor oggi un modello. «Perché mostra una realizzazione dell'ideale che hanno scelto - risponde Eletta Fornaro, responsabile mondiale delle gen -: vogliono l'unione con Dio, e lei l'ha raggiunta; vogliono un mondo unito, e lei ci credeva così tanto che, mentre lo realizzava attorno a sé, offriva per esso le sue sofferenze; vogliono le cose concrete, e lei persino dal suo letto continuava a raccogliere i suoi risparmi per l'Africa... ».
Con gli amici di Sassello

Giuliano Robbiano è forse l'amico più sincero che Chiara abbia al paese. È figlio dei proprietari del locale dove lei ama trascorrere pomeriggi e serate con gli amici, il Bar Gina. Lo incontro proprio lì. Alle pareti pendono foto del borgo di una volta. Lo sguardo è franco, il parlare semplice. Racconta qualcosa di Chiara tra un cappuccino da servire e un pacchetto di amaretti da confezionare: «Posso dire che con lei - e non mi sembra di mancarle di rispetto - ho passato i momenti più belli della mia vita. Soprattutto nella malattia, era lei che mi sosteneva, che sapeva trovare le parole e i gesti giusti per incoraggiarmi. Però debbo dire che era sì una ragazza ben educata, che piaceva a tutti e sapeva farsi apprezzare; ma mai e poi mai avremmo pensato che avesse una vita così ricca. Ci ha lasciato una scia luminosa che mi aiuta un sacco, ancora adesso». In effetti, con gli amici del paese non vuole mai essere al centro dell'attenzione. Non racconta a parole quello che vive con le gen, non si mette in mostra, non fa un "apostolato" di routine. Lei ama, sa avere le attenzioni giuste. Racconta Maria Teresa: «Un giorno le chiedo: "Con gli amici al bar, ti capita di parlare di Gesù, cerchi di far passare qualcosa di Dio?". E lei con naturalezza mi risponde: "No, non parlo di Dio". La guardo e dico: "Ma come, ti fai sfuggire le occasioni?". E lei: "Non conta tanto parlare di Dio. Io lo devo dare ». Tanti ragazzi le vanno dietro. Ma niente di più: «E' molto equilibrata nei sentimenti, ci va piano», conferma Chicca. Con L., un ragazzo del paese, c'è una simpatia molto forte. «Ma senza compromessi», precisa l'amica. Il rapporto dura lo spazio di qualche settimana, non di più, perché Chiara lo lascia, avendo colto in quel loro rapporto qualcosa di incompleto. «Tronca in modo maturo, molto diretto - spiega Chicca -. Quando me lo racconta, sento una persona retta, che non cede alle mezze misure...». Alla mamma dirà invece più tardi: «Cominciavo a voler bene a L., ma mi sono accorta che forse per lui era diverso: magari a lui piaceva solo stare con me. Allora ho troncato».