amami come sei...

AMAMI COME SEI (Gesù parla a un’anima) “Conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima, le deficienze e le infermità del tuo corpo: - so la tua viltà, i tuoi peccati, e ti dico lo stesso: “Dammi il tuo cuore, amami come sei...”. Se aspetti di essere un angelo per abbandonarti all'amore, non amerai mai. Anche se sei vile nella pratica del dovere e della virtù, se ricadi spesso in quelle colpe che vorresti non commettere più, non ti permetto di non amarmi. Amami come sei. In ogni istante e in qualunque situazione tu sia, nel fervore o nell'aridità, nella fedeltà o nella infedeltà, amami... come sei.., Voglio l'amore del tuo povero cuore; se aspetti di essere perfetto, non mi amerai mai. Non potrei forse fare di ogni granello di sabbia un serafino radioso di purezza, di nobiltà e di amore ? non sono io l'Onnipotente ?. E se ml piace lasciare nel nulla quegli esseri meravigliosi e preferire il povero amore del tuo cuore, non sono io padrone del mio amore? Figlio mio, lascia che Ti ami, voglio il tuo cuore. Certo voglio col tempo trasformarti ma per ora ti amo come sei... e desidero che tu faccia lo stesso; io voglio vedere dai bassifondi della miseria salire l'amore. Amo in te anche la tua debolezza, amo l'amore dei poveri e dei miserabili; voglio che dai cenci salga continuamente un gran grido: “Gesù ti amo”. Voglio unicamente il canto del tuo cuore, non ho bisogno né della tua scienza, né del tuo talento. Una cosa sola m'importa, di vederti lavorare con amore. Non sono le tue virtù che desidero; se te ne dessi, sei così debole che alimenterebbero il tuo amor proprio; non ti preoccupare di questo. Avrei potuto destinarti a grandi cose; no, sarai il servo inutile; ti prenderò persino il poco che hai ... perché ti ho creato soltanto per l'amore. Oggi sto alla porta del tuo cuore come un mendicante, io il Re dei Re! Busso e aspetto; affrettati ad aprirmi. Non allegare la tua miseria; se tu conoscessi perfettamente la tua indigenza, morresti di dolore. Ciò che mi ferirebbe il cuore sarebbe di vederti dubitare di me e mancare di fiducia. Voglio che tu pensi a me ogni ora del giorno e della notte; voglio che tu faccia anche l’azione più insignificante solo per amore. Conto su di te per darmi gioia… Non ti preoccupare di non possedere virtù: ti darò le mie. Quando dovrai soffrire, ti darò la forza. Mi hai dato l’amore, ti darò di saper amare al di là di quanto puoi sognare… Ma ricordati… amami come sei… Ti ho dato mia Madre; fa passare, fa passare tutto dal suo Cuore così puro. Qualunque cosa accada, non aspettare di essere santo per abbandonarti all’amore, non mi ameresti mai… Va…”

martedì 5 ottobre 2010

Chiara Luce LA SPOSA

LA SPOSA

Poi, l'imprevedibile. L'estate del 1988 volge al termine, la scuola si avvicina. Le lunghe passeggiate con gli amici, le serate a discutere, i tempi rilassati delle vacanze volgono al termine. Chiara sta giocando a tennis quando avverte un forte dolore alla spalla. Non ci fa caso, e non lascia trasparire nulla con i genitori, né con gli amici. Ma la fitta si ripete, più acuta, tanto che nel corso di un'altra partita non riesce più nemmeno a reggere la racchetta in mano. Dapprima i medici parlano di una costola rotta e le prescrivono delle infiltrazioni, peraltro dolorose. Ma le ricadute spingono i sanitari ad approfondire le ricerche. Chiara è un po' turbata, ma continua la sua vita normalmente. Così un pomeriggio vorrebbe partecipare a un incontro gen a Genova, ma febbre e dolori non l'abbandonano. Racconterà più tardi: «Il treno era alle 14.12 e, avendo un po' di tempo, mi addormento. Mi sveglia il campanello. Nessuno alla porta. Nemmeno al citofono, da basso. Guardo l'orologio e capisco: "Gesù, sei tu che mi chiami, vuoi che venga da te. Devo prendere il treno". Corro tanto, perché ho solo sette minuti. Soffro da morire ma ho le ali: "Devo farcela, Gesù mi chiama". Sudata arrivo a sedermi sul treno: "Ce l'ho fatta"». II verdetto dei medici arriva ben presto: sarcoma osteogenico con metastasi, uno dei tumori più spietati e dolorosi. A Chiara non viene comunicata immediatamente la grave diagnosi, ma non le viene nascosto che la malattia è seria. Accoglie la notizia senza abbattersi. Comincia la trafila infinita di esami, attese, recuperi, ricadute, ricoveri. Un'occasione costante per vivere nell'istante presente. Racconta papà Ruggero: «A Pietra Ligure, in ospedale, nonostante dolori e febbre, non riesce a stare ferma. Si prende cura di una ragazza depressa che occupa la camera accanto. L'accompagna ovunque, in lunghissime passeggiate nei corridoi, anche se dovrebbe riposarsi. Di fronte ai nostri inviti alla prudenza, dice: "Avrò tempo per dormire più tardi"». Le testimonianze raccolte non lasciano dubbi: Chiara affronta questa prova con docilità, si potrebbe persino dire "col sorriso sulle labbra". Si sottopone a lunghe terapie, riprende la scuola per qualche giorno, scrive qualche lettera, trascorre settimane a letto... Dice Chicca Coriasco: «Ci scrivevamo spesso. Già da un po' avevo notato tra le righe un malessere, come una difficoltà. Avvertiva che la vita si faceva più dura, anche nei rapporti con gli altri. Voleva essere autentica al 100 per cento, voleva darsi tutta... Credo che senza tale premessa non si capirebbe la sua reazione all'annuncio della malattia».
Lo sposo vicino

Arriva il tempo di un primo intervento, seguito da una lunga chemioterapia, che non fa pesare a chi le sta intorno. A questo proposito, Maria Teresa racconta un momento decisivo della vita di Chiara, un passaggio straordinario: «Da qualche tempo ha capito che le cose si mettono male, e che ha un cancro vero e proprio. Tuttavia mantiene la speranza di guarire. Qualche giorno dopo l'intervento, chiede direttamente al medico la vera diagnosi. Viene così a sapere la verità, e che resterà calva per la chemioterapia. E’ forse questo particolare a farle comprendere la gravità del male: ai suoi capelli, infatti, ci tiene. Siamo a Torino, da amici, perché l'intervento ha avuto luogo al Regina Margherita. La vedo ancora arrivare nel giardino avvolta nel suo cappotto verde. Ha lo sguardo fisso, si avvicina, pare assente, entra in casa. Le chiedo come sia andata. E lei: "Ora no, ora non parlare". Si butta sul letto, con gli occhi chiusi. Venticinque minuti così. Mi sento morire, ma l'unico modo di starle accanto è tacere, soffrire con lei. È una battaglia. Quindi si volta, mi sorride: "Ora puoi parlare", mi fa. È fatta. Ha ridetto il suo sì. E non torna più indietro». (Una volta sola aveva chiesto il perché di quel dolore. Dopo il primo intervento aveva in effetti esclamato: «Perché, Gesù?». Ma pochi istanti dopo aveva continuato: «Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch'io»). Chiara scrive a Chiara Lubich: «Questo male Gesù me lo ha mandato al momento giusto, me l'ha mandato perché io lo ritrovassi». Quel sorriso che la caratterizzava da sempre, e che nei primi mesi della malattia non l'aveva abbandonata, torna più radioso ancora sulle sue labbra. Chiara sa ormai dove va. Il filosofo agnostico Émile Cioran si chiedeva: «Si è mai visto un santo gioioso?». Chiara lo era.
Le operazioni, le speranze

Il decorso della malattia è impietoso, anche se Chiara cerca ostinatamente di condurre una vita normale e, appunto, gioiosa, perché cresce il rapporto con il suo sposo. Subisce una seconda operazione, dolorosissima. Tra gli innumerevoli episodi di questo periodo, val la pena di riportare il racconto di quello che sarà il suo ultimo Natale (lei già lo intuiva). Ha preparato i regali per i familiari e gli amici; l'importante è fare festa, circondata da coloro che ama. Ma le piastrine scendono rapidamente, la febbre aumenta. «Per telefono il medico curante - racconta Maria Teresa - mi fa qualche domanda mirata e mi chiede quanto tempo ci voglia per giungere all'ospedale, a Torino. L'ambulanza è sotto casa, ma Chiara non vuole partire: "Io non passo il Natale all'ospedale - dice -; se devo morire, Gesù, vorrei che fosse a casa". Le sussurro allora all'orecchio che è volontà di Dio partire. Accetta, ma nel tragitto non pronuncia una parola, soffre tremendamente. Sulla porta del nosocomio i medici, che le volevano bene un mondo, sono già pronti con la trasfusione. Abbiamo rischiato di perderla. La mattina seguente, vigilia di Natale - continua il racconto della mamma -, entrando nella sua stanza le dico: "Qui corrono tutti coi pacchi di regali, ma nessuno si guarda negli occhi, nessuno si saluta. Gesù è lì accanto e non lo vedono". Nel frattempo ha superato il momento di difficoltà. Continuo: "Accendiamo il fuoco di Gesù tra noi, che poi scalderà tutti. Devi accenderlo tu, perché la mia legna fa poco calore". E lei: "Insieme, mamma"». Proprio quel pomeriggio il cardinale di Torino Saldarini è in visita nel reparto. Ha notato il volto particolare di Chiara. Entra nella stanza e le chiede: «Hai una luce meravigliosa negli occhi. Come fai?». E lei, dopo un momento di timidezza: «Cerco di amare Gesù». Quello stesso giorno, una volontaria ospedaliera cade in una profonda crisi esistenziale: come può esistere un Dio se in quell'ospedale muoiono di cancro dei bambini? Mentre Maria Teresa scende al bar, la signora si siede accanto a Chiara. Non si sa quel che si dicono. Ma quella donna afferma rinfrancata che quello è il più bel Natale della sua vita. «Anche per noi tutti fu così», ribadisce papà Ruggero.
La vicinanza con i suoi

I suoi, cioè i gen e le gen, che circondano lei e la sua famiglia di attenzioni, di aiuto, di affetto, sempre pronti ad accorrere se il bisogno si manifesta. I loro racconti cominciano pressappoco tutti così: «All'inizio abbiamo l'impressione di andarla a trovare per sostenerla - come dice un gen di Torino, Fernando Garetto -. Ma ben presto ci accorgiamo che siamo noi a non poter più fare a meno di lei, perché siamo come attratti da una calamita». E sempre Fernando: «Ogni volta che entriamo nella sua stanza - dice - sentiamo di doverci "aggiustare l'anima"; ma poi ecco la gioia, per i brevi momenti con lei. Ci sentiamo proiettati, senza averne alcun merito, nella splendida avventura dell'amore di Dio. Eppure Chiara non dice frasi straordinarie, non scrive pagine e pagine di diario. Semplicemente ama». La ragione di tutto questo forse viene da quanto afferma uno dei suoi medici, Antonio Delogu: «Dimostra col suo sorriso, con i suoi grandi occhi luminosi, che la morte non è. Solo la vita è». Semplicemente ama. Ama riamata. Scrive ad alcune gen di Genova: «Sento fortissima la vostra unità, le vostre offerte, le vostre preghiere che mi permettono di rinnovare il mio "sì" attimo per attimo». I suoi, cioè i genitori. Sentiamo Ruggero: «Nella malattia abbiamo visto la mano di Dio: ho scoperto una figlia nuova, sconosciuta. Il rapporto che aveva con Gesù ci ha aiutati a fare i passi interiori necessari. Ci trasmetteva serenità: Chiara era gravissima, ma non ci siamo mai lasciati prendere dalla disperazione, perché in lei c'era sempre Gesù. Ricordo, avevamo fatto meditazione assieme, scambiandoci poi qualche impressione. Chiara Luce disse: "Quando abbiamo la presenza di Gesù in mezzo a noi, siamo la famiglia più felice del mondo". E quella notte si mise a cantare qualche canzone gen, tanto che temevo disturbasse i vicini. Ma non osai interromperla». Roberto Bertucci, primo biografo di Chiara, sottolinea «il rapporto fuori del comune che si era creato tra lei e i genitori. Maria Teresa e Ruggero, forgiati nello stesso spirito dell'unità, avevano intessuto con lei un rapporto di affiatamento insolito, di profonda unità; la vita di Chiara è stata accompagnata e favorita da loro due. Frasi come quelle ripetute da Ruggero subito dopo la sua partenza al cielo - "Dio ce l'ha data, Dio ce l'ha tolta. Sia benedetto Dio"; "Non so se riusciremo a fare altro nella vita, ma un capolavoro forse l'abbiamo fatto" - dicono una fede profonda presente anche nei genitori. E ciò dimostra come una sana famiglia cristiana porti frutti, anche grandi». I suoi, cioè gli amici. A Gianfranco Piccardo, in partenza per una missione umanitaria in Africa, in Benin, per scavare pozzi d'acqua potabile, Chiara consegna tutti i risparmi, un milione e trecentomila lire, regalo per il suo ultimo compleanno. Dice: «A me non servono, io ho tutto». È già costretta a letto, paralizzata. Lo segue idealmente durante i suoi viaggi, grazie alle regolari visite della moglie Rosalba; alle dieci di sera si riuniscono, col pensiero, in preghiera. L'amica così commenta il loro ultimo incontro: «In quella stretta di mano mi sembra che passasse l'amore immenso di una creatura ormai totalmente in Dio».
La Bella Signora

Ci resta una registrazione in cui Chiara racconta di una visita in ospedale, quando le iniettarono un medicinale tra le vertebre, per attenuare le insopportabili contrazioni alle gambe ormai da tempo paralizzate. Incide la cassetta per i suoi amici gen: «Per mantenere Gesù in mezzo a noi - dice -, cosa importantissima in questo periodo, vi volevo raccontare in breve una mia esperienza che ho fatto a Torino. Mi sono ricoverata per una visita specialistica. La paura era tanta, perché in quel momento non capivo cosa mi avrebbero fatto. Ho capito che si trattava di un piccolo intervento, con anestesia locale. È stata un'esperienza bellissima, perché, quando i sanitari hanno iniziato a fare questo piccolissimo intervento, però fastidioso, è arrivata una persona, una signora, con un sorriso luminosissimo, bellissima: si è avvicinata, mi ha preso la mano e mi ha fatto coraggio. Io ero convinta che questa persona fosse del Movimento, perché quella luce era proprio del nostro ideale. Io ero dell'idea che i miei, che erano rimasti fuori, l'avessero fatta entrare. A un certo punto, com'è arrivata, è sparita: non l'ho più vista. Ma sono stata invasa da una gioia grandissima, e m'è scomparsa la paura. Quando sono uscita ho chiesto ai miei genitori chi fosse, ma loro non la conoscevano. Ecco, ripensandoci non mi so spiegare cosa fosse accaduto, ma sentivo forte di ringraziare Dio. Razionalmente pensavo: "È un caso". Ma poi mi chiedevo: "E perché è arrivata proprio in quel momento, proprio in quella circostanza? E soprattutto con quella luce così, direi senza esagerare, soprannaturale?". Mi sembrava un angelo. Un angelo che la Madonna mi aveva messo vicino. È stato un momento di Dio profondissimo. Ecco, in quell'occasione ho capito: se fossimo sempre pronti a tutto, quanti segni Dio ci manderebbe! Ho compreso anche quante volte Dio ci passa accanto e noi non ce ne rendiamo conto».
Niente morfina

Le cure si rivelano inutili: il male avanza. Dice: «Se dovessi scegliere tra camminare o andare in paradiso, sceglierei senza esitazione: andare in paradiso. Ormai mi interessa solo quello... Sto attenta a dirlo, però, perché magari pensano che voglio andarmene per non soffrire più. Ma non è così. Io voglio andare da Gesù». L'ultima TAC non lascia speranza. Cominciano gli ultimi mesi, i più intensi. Innumerevoli testimonianze dimostrano come, dal suo lettino, Chiara viva in comunione con tanti. Tanto da suscitare la curiosità dei medici, che guardano quella ragazza e i suoi genitori con interesse: «Li studiavamo - confessa un medico del Regina Margherita - perché non riuscivamo a capire perché non erano disperati. Erano in tre, ma vedevo una sola persona». Un altro episodio, raccontato da Maria Teresa: «Le saltavano le vene, a furia di flebo. Il professore le aveva mandato l'infermíera migliore. Anche quest'ultima non riusciva nell'intento, ma non si dava per vinta. Scoprì una vena ancora buona, sul pollice; una vena piccola, che rischiava di rompersi da un momento all'altro. Disse a Chiara: "Dovrai collaborare, restare immobile. Se muovi il dito, l'ago salta e non possiamo fare la terapia". Quell'ago pareva una farfalla. Chiara per tre giorni rimase immobile. Una di quelle sere disse: "Per me è una piccola prova, anche se mi fa proprio male e mi viene l'istinto di muovere il dito. Ma allora, per vincere questa tentazione, mi dico che quella farfalla è una delle spine che Gesù aveva sul capo"». Rifiuta persino la morfina: «Toglie la lucidità, e io posso offrire a Gesù solo il dolore. M'è rimasto solo questo. Se non sono lucida, che senso ha la mia vita?».
La sua stanzetta

Gli ultimi mesi Chiara li trascorre quasi esclusivamente nella sua stanzetta, nella mansarda di Sassello, accudita dai genitori e da zia Mimma, un vero angelo di serenità e dedizione. Le piace quell'angoletto dalle travi rustiche. Vi sono due finestre, una all'altezza del pavimento, che dà sul giardino, e una proprio di fronte al letto, che invece mostra solo due rettangoli di cielo e, alla base, due vasi di piante, sempre fiorite. Nella stanza sono distribuiti una ventina di pupazzi di peluche regalati dalle gen 4 (Chiara Luce ne va matta). Poi un dipinto di Gesù abbandonato sulla croce, corredato da una frase: «Gesù, confido in te». Quindi un quadretto, che rappresenta il Piccolo principe di Sannt-Exupéry, con un'altra scritta: «Non si vede bene che col cuore, l'essenziale è invisibile agli occhi». Alla testata è appeso il telefono con cui la giovane Badano resta in contatto costante con gli amici. Pur nell'immobilità è infatti attivissima, e segue le attività dei gen, si fa presente con cartoline, messaggi, regalini. Ha sempre una trovata per manifestare la sua unità. E poi continua la sua predilezione per coloro che non credono in Dio. Dice Fabio De Marzi, il medico curante, agnostico, che tante volte è salito in quella mansarda: «Da quando ho conosciuto Chiara, il suo comportamento e quello dei genitori, qualcosa è cambiato dentro di me. Qui c'è coerenza, qui tutto mi quadra del cristianesimo». Nella stanzetta non mancano una minuscola statuetta di Santa Chiara, un paio di scarpette da bambina, una lampada a olio fatta con una scatola di sardine, una Madonnina di Fatima e un tramonto rosso. Su un portapenne è incisa una frase di Chiara Lubich: «Amare, amare sempre, amare tutti. Alla fine di ogni giornata poter dire: "Ho sempre amato"». E poi i libri, tanti: L'idiota di Dostoevskij, L'Inferno dantesco, La storia infinita di Michael Ende, Cuore di De Amicis, Uno di Richard Bach, Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci, Pavese, Sciascia, Dumas, Kipling, Hemingway (Il vecchio e il mare), Agatha Christie, Rigoni Stern, Varillon, Calvino, I dolori del giovane Werther di Goethe, Guareschi, Hesse, La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth. E poi i suoi libri prediletti, soprattutto negli ultimi mesi di vita: Meditazioni, Colloqui con i gen e La parola che si fa vita di Chiara Lubich. Infine, una scritta a caratteri cubitali, stampata da computer: «Ciao Chiara, 1». I gen sono così sempre presenti accanto a lei, anche quando i dolori non le lasciano tregua.
La prova

Giunge anche un forte momento di prova. Un giorno la madre la ode urlare. Accorre e la trova ansimante, coperta di sudore: «Mamma, è venuto il diavolo», le dice. La madre cerca di calmarla, spiegandole di non essere sorpresa di quella visita, «perché il demonio vuole prendere con sé le anime più belle». E l'invita a stare tranquilla, «perché Gesù è con te». Chiara continua per la sua strada. L’adulta, ormai, nonostante i diciott'anni non ancora compiuti. Le scrive il medico curante, ancora lui: «Non sono abituato a vedere dei giovani come te. Ho sempre pensato alla tua età come al tempo delle grandi emozioni, delle intense gioie, degli ampi entusiasmi. Tu mi hai insegnato che è anche l'età d'una maturità assoluta». Il 19 luglio 1989 viene colpita da un'emorragia, terribile. Viene salvata in extremis. Dirà: «Non versate lacrime per me. Io vado da Gesù, a cominciare un'altra vita. Al mio funerale non voglio gente che pianga, ma che canti forte. Ieri sono stata lì sulla porta, ma la porta non s'è ancora aperta». Altre cure, con una fleboclisi forzata e rumorosa: «Ogni goccia può assomigliare almeno un po' ai colpi di martello sui chiodi usati per crocifiggere Gesù». E accompagna ogni battito della flebo con un: «Per te». Accade persino che chieda ai genitori di non far entrare Giuliano e gli altri amici. Un giorno si spiega con lui: «Quello non era un segno di minor affetto o di tristezza. Anzi. Era che faticavo a scendere dal punto meraviglioso in cui abitava l'anima e poi risalirvi. Sto in un'altra dimensione, in un'aria di paradiso che mi ha rapito, e avverto come zavorra tutto ciò che mi allontana da lì». E "aria di paradiso" è quella che sperimentano coloro che le sono accanto. È il momento dell'impennata finale, qualche mese appena di maturazione estrema nel rapporto con Dio, con Gesù suo sposo. Le testimonianze concordano nell'attribuirle una pace costante, pur nelle sofferenze indicibili. Parla ormai a fatica, non scrive quasi più, vive nella sua cameretta rivestita di legno d'abete immersa nella volontà di Dio del momento presente.
Intimità spirituale

È in questi ultimi mesi di vita che il rapporto con Chiara Lubich raggiunge indiscutibilmente il suo apice. Seguiamolo attraverso l'ultimo, intenso scambio di lettere. Scrive Chiara il 20 dicembre 1989: «Da due giorni sono ritornata dall'ospedale di Torino dove, da circa dieci mesi, per l'ennesima volta mi sono recata a sottopormi ad un ciclo chemioterapico. Il mio stato di salute attuale non è dei migliori, perché il mio fisico è ormai duramente provato a causa delle terapie. L'ultimo ricovero coincideva con il congresso gen 2 a Castelgandolfo. Una mattina stavo particolarmente male; sapevo che proprio quel giorno le gen avrebbero fatto una preghiera per me: anch'io ho sentito il desiderio di unirmi a loro e con la mamma l'abbiamo fatta anche noi. Siccome questo è l'anno dello Spirito Santo (in quel periodo, nel Movimento si approfondiva quel tema, ndr), oltre alla mia guarigione ho chiesto all'Eterno Padre di illuminare con il suo Spirito i responsabili del raduno e, per tutte le gen, la sapienza e la luce. È stato proprio un momento di Dio: soffrivo molto fisicamente, ma l'anima cantava. Abbiamo continuato a pregare a lungo, perché quel momento non passasse. Ora ti chiedo un regalo per Natale: una Parola di vita per me, una per papà e una per la mamma. Chiedo troppo?». Chiara le risponde a stretto giro di posta: «Avrai saputo che il congresso gen è stato una vera manifestazione dello Spirito Santo, grazie anche a te. Ti sento tutta impegnata e protesa a corrispondere all'amore di Dio e a dirgli il tuo continuo "sì" per il Movimento. Io ti seguo costantemente con la mia preghiera e con tutto il mio amore. Ho scelto le Parole di vita che desideravi. Ecco fa tua: "Chi rimane in me ed io in lui, questi porta molto frutto" (Gv 15, 5). Alla tua mamma propongo questa: "Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera" (Rm 12, 12). E al tuo papà: "Ti amo, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore" (Sal 17, 2-3). Chiedo allo Spirito Santo per te il dono della fortezza, perché la tua anima, per l'amore a Gesù abbandonato, possa sempre "cantare"». Nell'aprile del 1990, mentre continua il suo calvario, legge la Parola di vita del mese, scritta da Chiara Lubich. Ne sottolinea un passaggio: «La prima condizione per superare la prova è la vigilanza. Si tratta di rendersi conto che sono prove permesse da Dio non già perché ci scoraggiamo, ma perché, superandole, maturiamo spiritualmente». Il 19 luglio del 1990, Chiara scrive di nuovo: «Per prima cosa ti aggiorno un po' sul mio stato di salute: ho sospeso il ciclo chemioterapico a cui mi ero sottoposta, perché è risultato inutile continuarlo: nessun risultato, nessun miglioramento. La medicina ha così deposto le armi! Solo Dio può. Interrompendo le cure, i dolori alla schiena dovuti ai due interventi e all'immobilità a letto sono aumentati e non riesco quasi più a girarmi sui fianchi. Stasera ho il cuore colmo di gioia, e sai perché? Ho ricevuto la visita della mamma di Carlo Grisolia di Genova (un gen morto qualche tempo prima, ndr). È stato un momento di forte Gesù in mezzo. L'emozione era tanto grande che quasi non riuscivo a parlare. Clara mi ha portato le foto di Carlo, così ho potuto sceglierne una che ora ho qui davanti a me. Durante l'incontro con la sua mamma, Carlo era con noi. Sai che la sua presenza era così forte che ad un certo punto mi sono ritrovata a guardare sulla sedia per vedere se era proprio lì. Sì, c'era! O mammina, riuscirò anch'io a essere fedele a Gesù abbandonato e a vivere per incontrarlo come ha fatto Carlo? Mi sento così piccola e la strada da compiere è così ardua; spesso mi sento sopraffatta dal dolore. Ma è lo sposo che viene a trovarmi, vero? Sì, anch'io ripeto insieme a te: "Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch'io". Ancora una cosa volevo dirti: qui tutti chiedono il miracolo (e tu sai quanto io lo desideri...), ma io non riesco a chiederlo. Forse questa mia difficoltà nel domandarglielo sta nel fatto che sento che non rientra nella sua volontà. Sarà così? Cosa ne pensi? Sarei felice - conclude - se mi potessi scegliere il nome nuovo (se pensi sia opportuno)». Ed ecco la risposta di Chiara Lubich, una settimana più tardi: «Grazie della letterina in cui mi dai notizie della tua salute e mi dici che hai avuto la visita della mamma di Carlo. Il Gesù in mezzo che hai stabilito con lei è stato così grande da farti sperimentare la presenza di Carlo. Ne sono felice. Grazie anche della tua foto. Il tuo viso così luminoso dice il tuo amore per Gesù. Non temere, Chiara, di dirgli il tuo sì momento per momento. Egli te ne darà la forza, siine certa! Anch'io prego per questo e sono sempre lì con te. Dio ti ama immensamente e vuole penetrare nell'intimo della tua anima e farti sperimentare gocce di cielo. "Chiara Luce" è il nome che ho pensato per te; ti piace? È la luce dell'ideale che vince il mondo. Te lo mando con tutto il mio affetto. Il giorno di Santa Chiara sarai spiritualmente presente anche tu». Data al 9 agosto di quell'anno l'ultima affettuosa lettera di Chiara Luce, firmata col "nome nuovo". Sono proprio gli auguri per la festa di Santa Chiara: «Avrei voluto donarti un cestino ricolmo di funghi di Sassello, ma nonostante le ricerche, come avrai notato, ne abbiamo trovato uno soltanto (vero): sembra sia nato proprio per te. Sono con te ed offro tutto, i miei fallimenti, i dolori e le gioie a lui, ricominciando ogniqualvolta la croce fa sentire tutto il suo peso. Non potendo infilarmi nel cestino per farti gli auguri personalmente, te li rinnovo per iscritto».
«Perché mai Gesù non viene ancora?»

Così chiede uno degli ultimi giorni. «Non vedo l'ora di andare in paradiso... Ma non sarà anche questo un attaccamento sbagliato, da perdere?». Teme persino che qualcuno la «innalzi su un piedistallo». Scrive allora: «Gesù ha permesso questa prova, ma è merito suo se riesco ad accettarla... di mio c'è proprio poco». Ormai sicura della sua sorte, che d'altronde non vuole cambiare, prepara con la mamma e le gen la "festa di nozze", cioè il suo funerale, sin nei minimi dettagli. Lei stessa indica come confezionare l'abito bianco con una cintura rosa - che chiede a Chicca di provare al suo posto -, sceglie le musiche, i canti e le letture. Si può dire che gli ultimi giorni della sua vita, paralizzata e bisognosa continuamente di ossigeno, siano stati realmente gli ultimi suoi momenti da fidanzata, «prima delle nozze», come lei amava ripetere. La storia della mistica, soprattutto femminile, è costellata di donne che usano espressioni di profondo rapporto sponsale con Gesù; Chiara Luce probabilmente fa parte di questa schiera. Senza esaltazioni. È rimasta lucidissima sino all'ultimo, rifiutando persino quei farmaci che, sollevandola dai dolori più acuti, le avrebbero fatalmente attenuato la vigilanza e la lucidità. In quegli ultimi giorni è stata prodiga di consigli anche per i genitori. «Mentre mi preparerai sul letto di morte, mamma, dovrai sempre ripetere: "Ora Chiara Luce vede Gesù"». E’ nell'amore, come testimonia una delle ultime "fantasie" dettatele dall'attenzione al prossimo. Dopo la sua morte, in effetti è stato ritrovato un biglietto vergato da una scrittura appena riconoscibile: «Santo Natale 1990. Grazie di tutto! Auguri di Buon Anno». Lo aveva nascosto nella cassettina dei biglietti d'auguri, certa che la mamma l'avrebbe letto quel prossimo Natale, in cui sentiva che non ci sarebbe più stata. Il papà le chiede se sia sempre disposta a donare le cornee, gli unici organi ancora trapiantabili, perché non intaccati dal cancro o dalla chemioterapia. Gli risponde con un sorriso luminosissimo. Scrive a fatica una specie di testamento ai gen: «Sono uscita dalla vostra vita in un attimo. Oh, come avrei voluto fermare quel treno in corsa che m'allontanava sempre più! Ma ancora non capivo. Ero ancora troppo assorbita da tante ambizioni, progetti e chissà cosa (che ora mi sembrano così insignificanti, futili e passeggeri). Un altro mondo m'attendeva, e non mi restava altro che abbandonarmi. Ma ora mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela». «Io devo tutto a Dio e a Chiara», è una delle sue ultimissime frasi.
Lo sposalizio

Chiara Luce si aggrava, sopraggiungono crisi respiratorie e segni di soffocamento. Confida alla mamma una mattina: «Ieri sera ero felice perché ho potuto offrire ancora qualcosa». E in un altro momento: «Pensi che sia un falso allarme? Partirò?». Le risponde Maria Teresa: «Per partire ci vuole il tempo di Dio. Ma stai tranquilla: hai la valigia pronta, piena di atti d'amore». E Chiara Luce: «Pensi che mi verrà incontro la nonna?». La mamma: «Prima ci sarà Maria, che t'accoglierà a braccia aperte». E la giovane Badano: «Zitta, non dirmi niente che mi togli la sorpresa». Due notti prima di morire chiede alla madre di leggerle una delle meditazioni di Chiara Lubich, le uniche pagine oltre al vangelo che ancora la soddisfano, placando la sua sete d'infinito. Maria Teresa comincia, ma Chiara Luce l'interrompe: «Con più entusiasmo, per favore». E poi pronuncia una frase, semplice e forte, memore della "visita" ricevuta qualche settimana prima: «Quando arriva il diavolo lo mando via, perché sono più forte, perché io ho Gesù». La vigilia vuol salutare gli amici che sono in casa. Non ha un filo di forze residue, ma riesce comunque a riservare un sorriso a ognuno, o un cenno con la mano. Giuliano è tra questi: «Bisogna avere il coraggio di mettere da parte ambizioni e progetti che distruggono il vero significato della vita, che è credere nell'amore di Dio e basta», riesce a dirgli. Arriva un mazzo di roselline dalle gen: «Che belle, proprio adatte per un matrimonio», commenta. Sin dalla mattina le viene da ripetere una frase ripresa da Chiara Lubich: «Vieni Signore Gesù», perché desidera ricevere l'Eucaristia. E inatteso arriva un sacerdote, che le dà la comunione. È felicissima. La notte si annuncia difficile. I medici si danno da fare, ma Chiara Luce chiede di restare sola con i suoi. Accanto a lei il padre e la madre. Fuori dalla porta, gen e amici. C'è pace, quasi naturalezza. Le sue ultime parole sono per la mamma: «Ciao. Sii felice, perché io lo sono». A papà, che le chiede se quella frase valga anche per lui, stringe la mano. È domenica 7 ottobre 1990, sono le quattro del mattino. È arrivata, Chiara Luce. Scrive Chiara Lubich in un telegramma a Ruggero e Maria Teresa: «Ringraziamo Dio per questo suo luminoso capolavoro». Poi l'ultimo dono: le sue cornee vengono espiantate. Ora due giovani vedono grazie a lei.